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Matteo Renzi, Italy's incoming prime minister, speaks during a news conference to announce the names of the cabinet ministers that will form Italy's new government, at the Quirinale Palace in Rome, Italy, on Friday, Feb. 21, 2014. Photographer: Alessia Pierdomenico/Bloomberg *** Local Caption *** Matteo Renzi
Matteo Renzi e Pippino Il Breve, due personaggi lontani e vicini: lontani come epoche, vicini per brama di potere. Pippino vissuto nell'VIII° secolo, padre di Carlo Magno, fu colui il quale destituì la dinastia Merolingia dal trono di Francia.
Da primo ministro, all'epoca dei sovrani fannulloni cosi definiti perché demandavano le incombenze di governo, si fece sostenere dall'allora pontefice Zaccaria, il quale con una lettera affermava che il vero sovrano era colui il quale deteneva il potere di fatto e non di diritto.
A pensarci, l'assonanza con il nostro primo ministro attuale funziona. Le urne infatti non hanno mai fatto risuonare il suo nome, il popolo non lo ha mai acclamato, se si esclude lo spazio ristretto della Leopolda. Una vecchia stazione fiorentina, che pur nella sua ampiezza, non può certo contenere l'assenso della maggioranza di 60 milioni di italiani.
Oggi il sostegno, più che da Bergoglio, gli deriva dalle “chiese” della moderna divinità, quel Dio Denaro tanto combattuto dall'attuale pontefice.
Un altro contesto comune ai due è l'avanzata islamica. Nel 700 le milizie mussulmane riuscirono a conquistare addirittura la Sicilia, islamizzandola per circa due secoli e mezzo, ma soprattutto spezzando in due il controllo Bizantino sull'Italia, i traffici mercantili sul Mediterraneo e più in generale provocando un lento ma inesorabile deterioramento di tutta l'economia europea. Anche oggi come allora fu la Francia, col potente esercito di Carlo Magno, a porsi alla testa della sconfitta del fondamentalismo islamico.
Anche dal punto di vista istituzionale il “Renzellum”, varato qualche mese fa, ricorda i Capitularia Italicum di Pippino il Breve, dal quale Matteo ha evidentemente mal scopiazzato il nome, oltre che le intenzioni.
Ma l'assonanza più triste è quella a cui assistiamo in questi anni: quella che ci porta dritti dritti ad un nuovo medioevo. Cosi come l'imperatore Diocleziano introdusse un sistema fiscale che colpiva i ceti più deboli per sanare i debiti imperiali, cosi Monti ci ha regalato la spending review dando inizio al valzer medievale. Pippino, pardon Matteo, dal canto suo, travestito nei panni del difensore dei poveri e degli oppressi, accentra il potere, riduce il numero degli ospedali, i tribunali, le caserme, gli uffici postali e cosi via.
Toglie risorse alle scuole, in un crescendo (o meglio DE-crescendo) di elementi che ci riportano con la mente al periodo considerato il più buio dell'umanità. Un periodo in cui il sovrano controllava sino all'ultimo pezzetto del suo regno attraverso la gerarchia dei feudatari e dei relativi vassalli, valvassori e valvassini.
Anche noi useremo i libri per rappezzare le finestre rotte? Cosi come i nostri antenati del basso medioevo usavano fare con le preziose pergamene tramandate dal più antico e raffinato popolo romano. Anche noi di questo passo vivremo di ricordi delle maestosità del passato? Quando cioè avevamo una sanità pubblica presente anche nelle vicinanze del più piccolo dei piccoli paesi italiani, oppure un carabiniere sempre dietro l'angolo pronto a difenderci, o una scuola su cui poggiare i primi passi della nostra cultura, senza essere costretti a farci accompagnare in auto dai nostri genitori.
Cosi come il passato che, i nuovi sacerdoti del Dio Denaro, vogliono far dimenticare ai nostri futuri anziani: quelli che non avranno una pensione, o quelli che per spedire una lettera dovranno rivolgersi ad un agenzia che percorra il tragitto sino in città, per raggiungere un rarissimo ufficio postale.
O quel che è peggio dovranno morire perché il loro debole corpo non è più in grado di affrontare un lungo viaggio sino ai pochissimi e centralizzati centri di eccellenza ospedalieri, i quali accoglieranno solo il meglio della società, sacrifican