Oggi è il 25 aprile, una data che pesa, nella storia del nostro Paese. Rievocarla vuole dire rendere onore a quelle generazioni di  giovani e meno giovani che subito dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943 combatterono per una libertà, ancora lontana,  che sarebbe arrivata soltanto dopo circa 20 mesi di lotte e crudeltà. Morti, feriti, sopravvissuti al dolore, tutti uniti da un solo vincolo: l’amor patrio. Che per loro voleva dire consegnare la libertà non tanto a se stessi quanto ai propri figli, alle proprie famiglie e all’intero Paese, inteso come società di appartenenza, imprescindibile per l’avvenire.

Chi di noi ha avuto genitori su un campo di battaglia con o senza divise, ha vissuto o ereditato, senza mediazioni, drammi, lutti e terrore. Difendere o conquistare la libertà con il sangue dei propri figli è quanto di più negativo possa appartenere al genere umano. Ecco perché non si può dimenticare. Non è immaginabile pensare a ulteriori tributi di sacrifici estremi o di prostrazione dell’uomo per ottenere o respingere quanto l’individuo non ha ancora avuto o  quanto gli si vuole togliere sul fronte della dignità e dell’equità di cui ognuno ha diritto.             

La persona umana al centro di tutto, tra passato e futuro.

Ricordare il 25 aprile, dunque, vuole dire avere gratitudine verso gli eroi e i protagonisti della Resistenza, nonché sentirsi dentro il peso del loro lascito, da vivere in termini di responsabilità assoluta come singoli o appartenenti a qualsiasi forma di aggregazione sociale. Ne abbiamo sempre bisogno, senza vuoti di memoria, perché la flessione dei valori etici e morali, unitamente  ai principi di uguaglianza, di democrazia e di giustizia, porta fatalmente a un allentamento dell’attenzione dell’uomo verso i propri simili. Spesso, un subentrato e mal controllato benessere sfocia in conseguenze inaspettate.                                                                                                                                     

Le attuali emergenze politico-sociali ed economiche del nostro Paese affondano le loro radici anche, o soprattutto, nella deriva di una società sotto la morsa del consumismo e della globalizzazione frenetici, indistinti e insidiosi, di cui non si riesce a controllare l’effetto collaterale dell’annientamento delle proprie origini e specificità.                                                         

Le scorie della modernizzazione e l’ansia di un benessere scontato non hanno trovato negli individui, prima, e nei corpi sociali, politici ed economici, poi, quel sistema di anticorpi in grado di respingere gli attacchi di batteri, o inquinamenti, aggressivi e letali. Ecco, nella nostra società, è venuto a  mancare, nel tempo, il senso dei valori e dei sacrifici, anche quelli estremi, che hanno caratterizzato gli uomini della Resistenza e dei padri della Costituzione italiana.                      

Sono venuti meno quei filtri, quelle “resistenze” di ordine etico e morale che avrebbero impedito, oggi, il progressivo isolamento della persona, contestualmente all’impoverimento e alla drammaticità della situazione generale in cui versa il nostro Paese.                                                                               &