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European polititicians are concentrated while signing the treaty for the European Common Market and Euratom, in Rome's City Hall, Italy, March 25, 1957. From left to right: Paul Henri Spaak, Belgian Foreign Minister, his Undersecretary Baron Snoy, French Foreign Minister Christian Pineau and his Undersecretary Maurice Faure, German Chancellor Konrad Adenauer, German Undersecretary of Foreign Affairs Walter Hallstein. An unidentified official bows over the table after Hallstein. (AP Photo/Mario Torrisi)
In una sala Orazi e Curiazi dei Musei capitolini tornata dopo i recenti lavori di restauro al suo antico splendore, oggi, in occasione del 60esimo anniversario dei Trattati di Roma, 27 rappresentanti di altrettanti Paesi tra capi di Stato e primi ministri firmeranno una dichiarazione per dare nuovo slancio a un’Europa in vistosa e preoccupante crisi.
Allora, 25 marzo 1957, per un progetto nato sulle ceneri della guerra, fu firmato l’atto di nascita di un’Europa limitata ai 5 Stati fondatori della Ceca, Comunità economica del carbone e dell’acciaio.
Oggi i Paesi dell’Unione europea sono 27, dopo l’uscita della Gran Bretagna sancita dal recente referendum popolare.
A fronte di un aspetto positivo, quale l’allargamento degli Stati membri, l’Europa non è, però, in buona salute, anzi, è in grave crisi, politica ed economica. Un governo politico l’Unione europea non l’ha mai avuto, con la conseguente incapacità di intervenire per risolvere problemi e situazioni comuni. Fatto prevedibile, considerato che le 27 nazioni hanno una propria politica estera e proprie forze armate. Ma è anche crisi economica, perché l’euro non sembra essere adeguato sia sotto l’aspetto propriamente economico, sia su quello fiscale.
Oggi, dunque, capi di Stato e primi ministri dell’Ue sono a Roma per ridare fiato un organismo che respira con affanno e che, pertanto, deve mettere nero su bianco con una dichiarazione solenne che indicherà dove andare e come andare.
Si parla di un’Europa a due velocità, ma nel testo del documento ci sarà scritto “ritmi diversi”, conseguenza di un inevitabile compromesso lessicale rispetto a due Paesi, la Grecia e la Polonia, peraltro ancora in dubbio sulla firma dello stesso documento nonostante un linguaggio più sfumato.