Non va tutto bene e  non si può prevedere quando la rotta si invertirà. Certo è, come emerge anche dall’ultimo sondaggio “La salute mentale dei giovani tra pandemia e guerra” condotto dall’Associazione Nazionale Di.Te. (Dipendenze tecnologiche, GAP, cyberbullismo) in collaborazione con il portale Skuola.net su un campione di 4.935 ragazzi di età compresa tra gli 8 e i 19 anni, che i giovani stanno attraversando un periodo delicatissimo dal punto di vista psicologico e mentale. «Due anni di pandemia tra dad, paura dei contagi, incertezze su quello che il futuro avrebbe riservato a familiari, amici, parenti, a cui si aggiungono anche questi ulteriori giorni di tensione a causa di quanto sta succedendo tra Russia e Ucraina: il peso sulle spalle è tanto. Noi adulti siamo provati, ma i ragazzi lo sono di più. E dobbiamo non solo tenerlo in considerazione, ma agire affinché la situazione non peggiori», premette Giuseppe Lavenia, psicologo, psicoterapeuta, presidente dell’Associazione Nazionale Di.Te.

Stando ai dati del sondaggio, infatti, negli ultimi mesi circa 1 adolescente su 3 ha sentito come emozione dominante la rabbia. E per il 15% è stato un sentimento addirittura fortissimo, quasi irrefrenabile. Inoltre, la rabbia dei giovani non è solo verso quanto sta accadendo all’esterno, è anche rivolta contro se stessi: così per il 47% dei giovani intervistati (il 50% tra le ragazze tra i 17 e i 19 anni, il 38% tra i coetanei maschi). «La pandemia e tutte le limitazioni, per quanto i giovanissimi le abbiano ben comprese e anche accettate, non gli hanno permesso di vivere appieno questi anni. E non vivere appieno fa arrabbiare chiunque, ma il vero tema è come stanno utilizzando questa emozione. È su questo aspetto che dovremmo soffermarci, per aiutarli a usare la rabbia in modo costruttivo», sottolinea Giuseppe Lavenia.

Perché, a quanto pare, la rabbia accumulata sta prendendo strade pericolose. Per quasi 1 giovane su 2 - ma tra le ragazze tra i 14 e i 19 anni si sfonda abbondantemente quota 50% - nell’ultimo periodo è salita anche la sfiducia mentre è sceso il tono dell’umore. «È preoccupante che il mondo degli adulti ignori quanto sia diffuso il disagio psicologico dei nostri bambini e adolescenti, al punto che circa il 40% dei ragazzi e il 60% delle ragazze coinvolti nella ricerca arrivino ad affermare che nessuno riesca a comprendere il loro stato d’animo. Nell’età della spensieratezza per antonomasia, fa rabbrividire il pensiero che 1 su 3 pensi alla morte come una possibile soluzione ai problemi. Per questo bisogna intervenire il prima possibile, per evitare che le emozioni negative prendano il sopravvento» così Daniele Grassucci, direttore di Skuola.net.   

Inoltre, è meglio affrontare “di petto” la situazione prima che i ragazzi guardino altrove, laddove si potrebbero generare danni incalcolabili. «Ansia e depressione stanno aumentando. I ragazzi non fanno nemmeno più domande agli adulti per sapere cosa sta accadendo. Trovano tutte le informazioni online e non sempre su siti istituzionali o da fonti affidabili. Le fonti da loro consultate, infatti, sono le più disparate e non le condividono con gli adulti. Perché pensano di avere già tutte le risposte sul loro smartphone. Se il tono dell’umore si abbassa, la rabbia aumenta. Diventa un circolo vizioso, che può avere conseguenze devastanti», aggiunge il Presidente dell’Associazione Nazianale Di.Te. Tutto questo, continua l’esperto, rende ulteriormente complicato, più di quanto non lo sia già, immaginare un futuro. «Se si è depressi, immaginare un domani è complesso. Se tutti intorno a sé sono preoccupati, e con quello che sta accadendo è comprensibile, alimentare la speranza diventa difficile».

Da tenere particolarmente sotto osservazione è il dato che registra un aumento dei casi di autolesionismo: oltre 1 su 6 dice che negli ultimi mesi ha provato a farsi del male per sfogare il proprio malessere. Con dei picchi preoccupanti tra gli under 16 anni: tra i bambini tra gli 8 e i 13 anni, gli episodi di autolesionismo hanno interessato quasi 1 su 3, oltre 1 su 5 tra i 14 e i 16 anni. E il fenomeno include, nella mente dei ragazzi, anche una narrazione attraente: sempre 1 su 6 - che diventano 1 su 4 se consideriamo i pre-adolescenti - pensano che sia addirittura bello farsi del male.

«L’autolesionismo esiste da sempre, ma è un fenomeno di cui si parla ancora troppo poco. Questi dati ci dicono che i ragazzi stanno vivendo un grande dolore emotivo ed è talmente insopportabile che per non sentirlo lo fanno passare sulla pelle. Per non essere più tormentati dal male dentro», commenta Lavenia. «Gli stati ansiosi e depressivi, in tutto questo, non aiutano a mettere fine al fenomeno dell’autolesionismo. I giovani vivono da troppo tempo come anestetizzati». Un tormento interiore che tra i più grandi potrebbe persino sfociare in qualcosa di ulteriormente grave. In generale, a più di un terzo (34%) capita spesso di essere talmente scoraggiato da non aver voglia di vivere. Un dato che si “sgonfia” al crescere dell’età: tra i ragazzi tra i 17-19enni un pensiero del genere si presenta “solo” in un 1 giovane su 5; comunque troppi.

In aumento anche i casi di autoisolamento: il 18% del campione - che tra gli under 13 sale addirittura al 33% - afferma che spesso valuta la prospettiva di non voler più uscire di casa. «Tantissimi bambini e ragazzi dichiarano di voler rimanere a casa con il cellulare, nella loro stanza, perché hanno l’idea che quanto stiano vivendo, in quel modo, sia più facile da sopportare. Ma sappiamo tutti che questa è un’illusione e che in realtà hanno bisogno di essere aiutati il prima possibile», rimarca Giuseppe Lavenia.

Per fortuna, però, sono gli stessi giovani a non nascondere di aver bisogno di supporto. Anzi, lo chiedono a gran voce: il 58% andrebbe di corsa dallo psicologo se potesse permetterselo o se le sedute fossero gratuite. Se si chiede alle ragazze tra i 17 e i 19 anni la platea sfiora quota 70%, mentre i coetanei maschi sembrano aver metabolizzato meglio le difficoltà del periodo, visto che “solo” una metà scarsa di loro (48%) si rivolgerebbe immediatamente a uno psicologo se gli venisse offerto. Leggermente più in difficoltà i ragazzi più piccoli: nella fascia 14-16 anni sfrutterebbe l’occasione il 56%; anche qui, però sono le ragazze a mostrarsi più ricettive, con oltre il 6o% che parlerebbe volentieri con uno specialista.

«Su questo terreno - sottolinea il direttore di Skuola.net Grassucci - la scuola può fare molto. Perché è lì che i ragazzi passano gran parte delle loro giornate, il personale scolastico e gli insegnanti potrebbero conoscere la loro personalità e le loro emozioni persino meglio dei genitori. Potenziare la figura dello psicologo d’istituto, rendendola ufficialmente parte integrante dell’organico scolastico, o quantomeno dotare tutte le scuole di uno sportello dedicato all’ascolto, come peraltro si sta già tentando di fare a livello istituzionale, potrebbe essere una prima risposta concreta». Perché, come ricorda Lavenia, «La salute mentale dei ragazzi, e anche degli adulti, ha bisogno di essere presa in cura. In fretta, e da professionisti».

 Anche alla luce degli effetti negativi sulla psiche dei nostri ragazzi a causa del conflitto in atto in Ucraina: infatti il 68% degli intervistati si è dichiarato molto o estremamente preoccupato per la guerra e oltre 8 su 10 affermano che questo evento sta causando impatti apprezzabili, in negativo, sul proprio umore.