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Raccontare di un paese, Buggerru, all’interno del Sulcis Iglesiente, un paese che non è il tuo, ma come il tuo ha una storia da raccontare anche se diversa, che come il tuo vive di uno spopolamento diffuso d’altronde come tutti i piccoli centri della Sardegna.
Perché raccogliere testimonianze e raccontare proprio di Buggerru? Come tanti giovani che decidono di imbattersi nell’università, si arriva alla fine di un percorso e ci si trovano a dover decidere sul titolo di un lavoro di tesi, io sono uno di quelli che dopo un attimo di indecisione ha scelto di raccontare il territorio di Buggerru, la sua comunità oggi e all’epoca delle miniere.
Continuano a chiedermi come mai proprio Buggerru? Non c’è un motivo esatto, forse mi sono sentita ispirata. Il territorio del Sulcis è così incontaminato e inesplorato, quasi come l’interno della Sardegna, di cui sono nativa, un paesaggio caratterizzato dalle miniere, che dietro ha una storia di lavoro, duro lavoro, dove sia le donne che gli uomini erano costretti a lavorarci per poter avere una forma di sostentamento.
Buggerru, un piccolo centro della provincia Carbonia-Iglesias, una comunità che è nata con l’attività mineraria e il duro lavoro che questa comportava, ma allo stesso tempo ha contribuito la nascita di un periodo fiorente dal punto di vista economico e occupazionale, un agglomerato urbano che la portava ad essere chiamata la “Petit Paris”, ma che purtroppo a seguito della chiusura delle miniere e alla crisi del settore estrattivo vede una progressiva fragilizzazione del tessuto produttivo.
Un sistema che funzionava dal punto di vista economico, ma dal punto di vista umano e lavorativo le condizioni dei lavoratori non erano delle migliori, padroneggiate dalla Società francese che gestiva non solo il sito minerario ma anche tutti gli operai che vi lavoravano, condizioni in cui le ore di lavoro aumentavano senza neanche una pausa pranzo, una situazione che oggi non si deve dimenticare, una situazione che ha spinto gli operai a ribellarsi, una ribellione che costò la vita ad alcuni, il cosidetto “eccidio di Buggerru”, che viene ricordato ogni 4 settembre, ebbene si, quest’anno ho potuto esserci anch’io a rendere vivo il ricordo di chi si è battuto per i propri diritti, una manifestazione in cui la memoria di quei tempi è ancora viva, proprio perché gli abitanti di Buggerru sono legati alla vita che era, cercano di rivivere attraverso più generazioni la storia di un passato che oggi è la nostra memoria.
Non ci ero mai stata, un paese caratteristico, un paese circondato da un bellissimo mare e caratterizzato dal colore rosso delle rocce e ruderi delle case dei minatori, un piccolo comune, dove le istituzioni come il sindaco e i suoi assessori si sono resi disponibili nel raccontare come vive Buggerru e i suoi abitanti, come cerchino di attuare politiche di governance per dare una giusta risposta alla deindustrializzazione di questo territorio con la riconversione, per esempio di tipo turistico, proprio per la posizione strategica del porto di Buggerru, purtroppo ancora oggi non funzionante a causa dell’insabbiamento.
Iniziative ai fini turistici sono state promosse anche dall’Igea con lo scopo di bonificare le aree attorno alle miniere e renderle agibili ai visitatori così da poter creare nuove opportunità economiche e occupazionali per sopperire alla piaga incombente della disoccupazione soprattutto fra i giovani.
Oggi Buggerru, come tutti i piccoli centri, ha delle difficoltà nel trovare un modello di sviluppo alternativo, in questo caso all’attività mineraria, infatti cerca di ricostruire dei processi di sviluppo locale che possono valorizzare le specificità territoriali legate proprio a questa attività mirando a un rilancio dell’area verso un turismo sostenibile.
Un sistema industriale molto fragile, che interessa non solo Buggerru, ma tutto il Sulcis – Iglesiente, un sistema che non riesce a ricoventirsi, che soffre come tutto il Sud, un territorio che non riesce a valorizzare il patrimonio minerario, che soffre di una scarsa