L’Italia è un Paese, ma non da ora, in cui può capitare di tutto senza che ci sia la volontà o la capacità politica di intervenire. E questo succede in tutti i campi, con la conseguenza di una crisi generale devastante che ha messo in ginocchio prima le fasce più deboli della società e, poi, anche il ceto medio, dove monta di giorno in giorno la paura di non essere più in grado di  fronteggiare uno sbandamento sconvolgente che rischia seriamente di essere senza ritorno. C’ è oggi un vuoto di potere politico pauroso, tanto grave da far temere di non riuscire a risalire dal baratro in cui il Paese è finito. Evasione fiscale, debito pubblico, disoccupazione e tasse inarrestabili sono da lustri settori ingovernabili: difficile immaginare che potesse andare a finire diversamente.

Le zavorre che hanno sempre bloccato tutto? Sono note da sempre: potentati economici e politici oppressivi e insormontabili, lobbies e altri centri di potere che si annidano anche nella burocrazia della pubblica amministrazione. C’è stato un periodo di vacche grasse, ne ha beneficiato un’intera generazione, quella che oggi ha passato ai figli una situazione economica drammatica accompagnata da una crisi sociale in cui,  una dopo l’altra, stanno saltando le cerniere del buon vivere civile, anticamera di una spirale che ci si augura non abbia mai inizio. I focolai del malessere fanno parte delle cronache degli ultimi tempi: aziende e industrie che chiudono, negozi con le serrande definitivamente abbassate, fallimenti e suicidi.

A questo quadro paurosamente allarmante, si aggiunge quello che il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha chiamato “un imbarbarimento della vita civile”, riferendosi ai frequenti atti, prevalentemente di provenienza politica, destabilizzanti della vita democratica del nostro Paese e alle ultime esternazioni di un parlamentare della Repubblica, ovvero agli insulti, a sfondo razzista, che il senatore, nonché vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli ha rivolto  al ministro  dell’Integrazione Cécile Kyenge. Insomma, è un’Italia in cui, a iniziare da chi dovrebbe dare esempi di moralità e di buon governo, ognuno può fare e dire tutto ciò che vuole, dalle cose importanti a quelle che lo sono meno, senza rispetto per gli altri e del vivere comune. Perché a questo ci ha abituati  negli ultimi vent’anni una classe politica che non è riuscita, nonostante le promesse, a distinguersi per stile, sobrietà e capacità di incidere nei settori nevralgici della società, dall’economia, alla giustizia, ecc.,  in cui piatto ancora piange e tanto.  Il crollo, poi, di qualsiasi filtro morale ed etico fa davvero temere il peggio. Lo dimostra, ancora una volta, il monito, o grido di allarme, del presidente Giorgio Napolitano.  Basterà? Forse non ancora, però bisogna intervenire prima che sia troppo tardi. In tutto e per tutti, prima o poi  ci deve essere un inizio di cambio di marcia, se si vuole risalire. In tal senso, il caso di Calderoli può essere la prima occasione.

Certo è che non sarà facile. La Lega si stringe intorno al suo senatore e respinge la pretesa delle dimissioni avanzate da più parti. “Calderoli”, fanno sapere i leghisti, “ha chiesto scusa per le parole pronunciate e ciò basta e avanza”. Insomma, tutto regolare, come sempre.  Intanto, però, il premier Letta tiene duro nel chiedere il conto alla Lega. Ce la farà?