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Nel caso di una band o di un artista che ha alle spalle già una storia e un repertorio di brani conosciuti e di successo non si può prescindere dai cosiddetti “intoccabili”.
Alcuni esempi: i Rolling Stones non possono pensare di estromettere dalla scaletta “I can’t get no satisfaction“ o “Jumpin’ jack flash”, Claudio Baglioni è costretto a cantare “Piccolo grande amore”, i Tazenda sono 'condannati' a offrire al pubblico “Spunta la luna dal monte”, "Carrasecare", “Mamoiada” e così via.
Oltre a questi sempreverdi occorre considerare se c’è un nuovo lavoro in uscita. Qui subentra un problema che gli artisti trattano in modo differente. Se il nuovo materiale non è ancora conosciuto, alcuni utilizzano il live proprio per promuoverlo a discapito della facilità e della fruibilità del concerto, essendo questo un evento nel quale la gente e i fan non vedono l’ora di cantare più che di ascoltare. Quindi i pezzi inediti o non ancora conosciuti creano momenti di poco pathos e altrettanto coinvolgimento. E’ l’ormai famigerato cane che si morde la coda: se non li fai sentire, i pezzi non diventeranno mai popolari, ma quando li proponi per le prime volte non hanno lo stesso effetto dirompente dei classici. Altri mettono solo alcuni brani nuovi e tengono sotto controllo il loro rendimento inteso come risposta dell’uditorio.
Un cantante scafato sarà sempre molto attento ai “movimenti” durante lo show, per monitorare fughe verso i punti di abbeveraggio o altre forme di ricreazione a causa di momenti morti. Il colpevole (brano che non funziona) viene o licenziato in tronco dalla track list o, se ci si tiene particolarmente, viene spostato in un'altra posizione. Spesso quest’ultima è una soluzione intelligente nei casi di brani lenti e mai sentiti prima. Infatti, nella prima parte si è più disponibili e ricettivi a cose più ostiche e anche ad ascoltare due paroline di spiegazione, mentre dopo la metà e soprattutto verso il finale si tende a volersi divertire, ballare, cantare e partecipare tutti insieme, come se lo spettacolo si spostasse dal palco alla platea e in fondo questo è ciò che chi sta su desidera.
Di solito con due ore di musica si può essere contenti di tornare a casa soddisfatti e questo è grosso modo lo standard mondiale, ma attenti a Bruce Springsteen e a quelli come lui che non si schiodano dal palco. Portatevi da mangiare e da bere per tre ore e passa!
Questo è solo uno dei diversi aspetti della preparazione di un tour. Circa uno o due mesi prima, nella sala prove i musicisti, con l’aiuto dei tecnici, puliscono, testano, cambiano, rinnovano e riparano gli strumenti e gli accessori. Poi, pronti per le prove, inizia la fase creativa sia dal punto di vista musicale che “filosofico”. Infatti occorre dare un nome ed un senso, un messaggio a ciò che si sta producendo, in modo che alla fine risulti un tutto omogeneo che deve essere compreso da tutti, generare emozioni forti e, se ci si riesce, anche far riflettere su temi importanti.
In contemporanea ai musicisti ci sono molte altre figure che si impegnano per lavorare parallelamente sino alla prova generale o data “0”: i grafici che studiano i manifesti litigando con gli artisti perché non si piacciono, i registi che cercano materiale da proiettare, i programmatori di schermi luminosi digitali (Led wall) che inventano grafiche psichedeliche in armonia o in disaccordo col datore luci, il fonico che segue le prove immaginando il suono definitivo e programmando le sue macchine, gli impresari che vanno in giro a vendere il prodotto, i cantanti che si rimettono in forma dopo l’inverno, sia tecnicamente che fisicamente, il Service con le maestranze che allestisce il tutto dal primo bullone fino ai perme