“Twist and shout”, “Quanto t’amo”, “Love me do”, “Tutti frutti”. Questi 45 giri dei primi anni ’60 erano fissi nel giradischi e ne sento ancora il profumo ed il fruscio un po’ gracchiato dei primi solchi, quelli vuoti.

Proust direbbe che questa è la ricerca del tempo perduto e sono d’accordo, quei dischi mi fanno tornare ad essere quel bambino che si buttava per terra dalla gioia nel sentire dolci melodie o scatenati rock and roll.

Facciamo un salto nell’iperspazio fino al momento in cui i dischi me li comprai coi miei risparmi. I primi furono “Quadrophenia” e “Tommy” degli Who, poi arrivò una sbandata per il jazz e il rock-jazz. Da “Miles Smiles” a “8:30” dei Weather report. Poi all' improvviso irruppe il progressive, ma soprattutto i Genesis. Fine della storia. I genesiani mi capiranno. Quando arrivi a loro non puoi ascoltare altro. Loro e basta. Per sette o otto anni incollato a studiare arpeggi, intrecci, testi, articoli su Ciao 2001, ma al di sopra di tutto i vinili con le copertine fantastiche da annusare.

Poi pian piano ne uscii fuori timidamente e andai ad ascoltare e comprare un po' di rock. Led Zeppelin e Deep purple. Musica italiana? Solo Battisti. Poi Rimmel mi ha convinto per suonare in spiaggia. Altro balzo quantico.

Quando nel ‘90 la Dischi Ricordi stampò il Cd “Tazenda” dovetti andare a comprare il lettore che sostituì per sempre il mio mitico Pioneer. Da quel momento, forse triste, la musica coi suoi supporti freddi iniziò a girare a una velocità molto elevata e il tasso di poesia del vivere l’ascolto diminuì progressivamente. Non si tratta di nostalgia, perché col mio lavoro ho cavalcato con entusiasmo Dat, Mini disc, mp3 ed ogni formato che mi si è presentato davanti.

Oggi guardando al passato sono strafelice che il vinile abbia dormito per circa 25 anni ed ora, come la bella addormentata baciata dal principe azzurro, si stia risvegliando. Lieto fine? Non si può dire. Ormai tutto si morde la coda e gira all'infinito come un disco rotto. Appunto.