Per atei, agnostici o credenti, c’è un denominatore comune che mette tutti d’accordo: la precarietà della vita. Per il resto, vale quello che ognuno di noi è dentro di sé, con le proprie concezioni sul senso e sugli esiti dell’esistenza terrena.

La sciagura aerea che si è consumata martedì scorso sulle Alpi francesi, che con la loro maestosità, fascino, bellezza e suggestione mai vorrebbero essere teatro di lutti, oggi sta qui a dimostrare quanto l’uomo sia vittima di se stesso, ovvero capace di autodistruggersi. Con i suoi errori, le sue debolezze, i suoi limiti, nonché con la sua indole troppo spesso violenta  e i suoi incontrollabili cedimenti, come ormai con certezza hanno  dimostrato i primi esiti degli accertamenti sulla scatola nera dell’aereo caduto. Che stanno lì a evidenziare un atto apocalittico del secondo pilota, con la morte simultanea propria e delle altre 149 persone a bordo del velivolo. Certo, non si saprà mai se nel tragico gesto avrà prevalso nel co-pilota, al di là delle possibili definizioni giuridiche, più l’istinto suicida o la volontà delirante di sopprimere altre vite.

A causare la tragedia immane sui monti dell’alta Provenza  è stato, dunque, un errore umano, ma non quello che normalmente si contrappone a un guasto tecnico dell’aeromobile. Qui, stavolta, si è andati oltre. Nel senso che le cause portano verso l’interno di una psiche in avaria che decide improvvisamente, approfittando di una breve quanto fatale assenza del comandante, per la deriva, per la fine propria e di quella degli altri. Resterà per sempre il dubbio sulla consapevolezza della duplice quanto simultanea azione suicida-omicida. Ma tant’è. Una mente, a un certo punto, non ha più funzionato, creando, date le circostanze, uno dei danni più devastanti e crudeli che si possano immaginare.

E così le Alpi, anziché essere viste da là su nel loro infinito splendore,  sono apparse a un individuo che non era più se stesso, come un bersaglio infallibile che ha spento la vita di 150 persone in un passaggio fulmineo verso la morte.

Sono trapelate notizie su precedenti depressivi che avrebbero riguardato il secondo pilota, solo in cabina al momento del disatro. Allo stesso modo,  si guardano come certezze gli esiti favorevoli dei test di efficienza psico-fisica successivi a tali episodi. Però, è di queste ore una novità agghiacciante e sconvolgente insieme, perché sembra ormai certo che il co-pilota dell’aereo abbia, proprio per il giorno della sciagura, nascosto alla compagnia aerea un certificato medico che, in caso contrario, gli avrebbe impedito di salire sull’aereo. Invece, è diventato un eroe al contrario. Ha seminato morti, terrore e angoscia perenne nei famigliari delle vittime e tra i suoi parenti. Ulteriormente afflitti, questi ultimi, da uno stato di isolamento di fronte al quale dovranno cercare di sopravvivere. 

L’uomo, ancora una volta, così  come in altri scenari di distruzione che si ripetono nel mondo, ha manifestato i suoi sconfinati limiti, che vanno dalla fredda e letale razionalità all’irrazionale, che vuole dire delirio, com’è successo martedì mattina sulle Alpi imbiancate di neve con il nero della tragedia e del lutto.

Ecco, dunque,  in tutta la sua dimensione drammatica, l’incapacità dell’uomo di sapere e di capire tutto di se stesso e dei suoi simili. Se questo limite è da considerarsi  un dato di fatto incontrovertibile,  è difficile, oggi, subito dopo la sciagura, sottrarsi a un’ angoscia ancora più profonda, quella che porta a non essere più tanto ottimisti sui progressi decisivi della scienza, medica in questo caso. Si possono ridurre i margini dell’errore nelle valutazioni, è il parere di psicologi e psichiatri, ma la mente umana sfugge ai criteri di una “scienza esatta”.

Almeno per ora, perché fino a che ci