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Don Matteo, giunto alla nona edizione, continua a stracciare tutti. Una media di quasi 8 milioni di persone per i due episodi andati in onda ieri nella prima serata di Raiuno. Altro che bicicletta: Terence Hill sfreccia come una Ferrari! Stiamo parlando di un fenomeno mediatico, non di una fiction qualunque. Ecco perché è utile rivolgersi a un esperto: può darci delle dritte per capire meglio le ragioni di un consenso numericamente così rilevante. Armando Fumagalli è direttore del master universitario in Scrittura e produzione per la fiction e il cinema, alla Cattolica di Milano. È la persona adatta, insomma, a cui domandare un parere. L’intervista integrale al professore può essere letta nel sito Vita.it, sezione Società.
La prima puntata di Don Matteo 9 è stata seguita da più di otto milioni di persone: qual è il segreto di questo successo inarrestabile?
«Ce n’è più di uno. Innanzitutto sono storie che propongono una visione dell’uomo molto profonda, che non si limita al qui e ora: questa è una componente importante e gradita alla maggior parte del pubblico. Poi il tono è lieve, sempre positivo, dà speranza: la gente, soprattutto nelle faticose settimane feriali, sente il bisogno di un prodotto televisivo tranquillizzante. Inoltre –elemento da non trascurare affatto- Don Matteo è scritto da gente molto giovane, gran parte degli autori della serie hanno meno di quarant’anni».
Don Matteo è sicuramente un prodotto da servizio pubblico. Spostandoci nelle tv commerciali, l’impressione è che ad esempio Il peccato e la vergogna non risponda a quei canoni educativi di cui stiamo parlando
Esatto, Il peccato e la vergogna è sicuramente un prodotto lacunoso da questo punto di vista. Però bisogna dire che anche la tv commerciale sta cercando di fare dei grossi salti in avanti. Ad esempio Downton Abbey è stato un gran bell’esperimento, purtroppo non baciato dal successo. Si potrebbe fare un tentativo di riprogrammazione, perché è davvero bello, un peccato che l’abbiano visto così in pochi. Nella televisione commerciale ci sono teste diverse, sensibilità diverse, alcuni di questi si stanno impegnando a fare tv nel senso più nobile e alto del termine –mi viene in mente ad esempio la fiction su Borsellino. Sicuramente sentono meno la responsabilità diretta del servizio pubblico, ma nel prossimo paio d’anni penso che ci saranno delle sorprese positive».
In tanti pensano ancora che il pubblico vada “violentato” con l’hard tv. Eppure, il successo di Don Matteo –e di prodotti consimili- è la dimostrazione che la gente privilegia i toni soft
«Il pubblico apprezza la tv che non urla, penso che i programmi cosiddetti trasgressivi abbiano il fiato corto: devono sempre aumentare la dose di provocazione per attirare nuovo pubblico. La verità è che quando un personaggio è positivo, la gente non solo lo vede ma lo rivede. Questo vale per Don Matteo ma anche per Montalbano: c’è un’affezione significativa, forte, assolutamente da non sottovalutare».
Nella storia della fiction italiana ci sono stati molti sacerdoti. Ce n’è uno che ricorda con particolare affetto, nostalgia?
«A me piacque molto la fiction su don Milani, trovai un modo molto equilibrato di raccontare. Poi siccome non sono più un ragazzino, ho vistoI racconti di padre Brown col grande Renato Rascel, e prima ancora I ragazzi di Padre Tobia. Don Matteo si pone in continuità con questi sceneggiati storici: Terence Hill è riuscito a dare un volto molto umano, una caratterizzazione molto paterna. In passato, tra l'altro, ha anche interpretato Don Camillo».
Don Camillo. Un altro sacerdote che qu