Incontro Roberto Cossu, eterno entusiasta combattuto tra un impegno ed un altro e anche per la curiosità che sa generare intorno a se tra i più giovani, partono e si rincorrono domande.

- Ascoltando i tuoi testi troviamo espressioni legate ad un impegno da musicista con alle spalle un lavoro da operaio dell’Alcoa di Portovesme, ma tu cosa ne pensi dello sviluppo della Sardegna?

“Vivo in un perenne conflitto di cuore. Sono cresciuto in una terra di agricoltori, minatori e operai che hanno sudato ogni loro difficoltà ed anch’io ho lavorato dentro un sistema di cui ho imparato le dinamiche e le logiche. Una parte di me riconosce l’utilità delle industrie e delle fabbriche che hanno dato lavoro a molti, ma con il passare del tempo tutto ciò ha mostrato anche il suo lato peggiore che oggi parla di degrado ambientale e occupazionale. La mia convinzione è che lo sviluppo debba trovare oggi le misure per fare tesoro di queste esperienze.”

- Avete raggiunto tante vette, vinto diverse rassegne quali il Festival Pub Italia, l’Accademia di Sanremo e il prestigioso Premio Amnesty International. Siete oramai riconosciuti a livello nazionale avendo aperto diversi concerti da Eugenio Finardi a Pino Scotto, avete lavorato fianco a fianco ad artisti illustri come Fiorella Mannoia e Omar Pedrini dei Timoria e tutto ciò ha sicuramente confermato la validità del vostro progetto. Ma qual’è esattamente la vostra missione? Il vostro credo?

“Ci piace credere di saper stimolare le persone affinché si armino dell’unica arma da utilizzare che sono convinto sia la cultura. E’ necessaria, la consapevolezza dell’essere parte del popolo sardo, conscio di sé, fiero della propria identità e capace di analizzare con serenità ogni proposta per crearsi i presupposti di ciò che merita: un futuro migliore. Il nostro è un popolo di pastori e non di pecore e ricordarlo impone di assumere decisioni e responsabilità che sono nella nostra misura culturale.”

- Nei tuoi testi evidenzi il forte legame con la cultura sarda, la tua musica si trasforma in impegno educativo?

“Una persona che ha cultura si pone domande, e ovviamente la cultura inizia dal nostro vissuto e dal nostro passato, dalla conoscenza della storia della Sardegna, quella stessa storia che si dovrebbe insegnare ai bambini sin dalle elementari. Occorrerebbe conoscere la nostra tradizione che si cristallizza nella Limba perché senza tutto ciò la nostra identità rischia prima di dilavarsi e poi di perdersi.”

- I Golaseca cantano anche in sardo?

“Il sardo ci appartiene e per questo abbiamo scelto di non cantare solamente in italiano.”

- I vostri testi spesso sono provocatori, un canto sociale, politico, di protesta dove esprimete il malessere diffuso. Quali sono i limiti dei sardi? E quali le soluzioni?

?“I sardi purtroppo hanno delegato molte decisioni che avrebbero dovuto assumere in proprio. Per questo soffro di queste eredità che per troppo tempo ha voluto escludere l’orgoglio e la gioia di appartenere ad una terra che non si può non amare. L’economia è cambiata e oggi se rinunciamo a queste identità comuni rinunciamo ad essere parte unita, capace di affrontare con serenità e carattere le scelte di vita e, da questo, le scelte imprenditoriali.?La politica è il rispecchio della società, d’altronde siamo noi che scegliamo chi votare. Ogni giorno ci porta temi veri sui quali mi piacerebbe vedere la giusta sensibilità e responsabilità che fatico a trovare, penso agli incendi, all’inquinamento, alle bonifiche non effettuate e alla disoccupazione che mangia ogni speranza dei nostri ragazzi. Ma sono un nostalgico e per questo alimento, purtroppo solo per me, la speranza. Se così non fosse sarei andato via dalla mia terra. A dispet