Oggi è stato il giorno del giudizio, ma non quello universale. Piuttosto, la condanna definitiva a 4 anni di reclusione, dell’ex premier, senatore e leader del Pdl, Silvio Berlusconi, dimostra semplicemente, e meno male, che in Italia non ci sono intoccabili: tutti sono uguali di fronte alla legge. Ma quale legge, o leggi? Quelle che ai giudici hanno “consegnato” i politici, ovvero il parlamento del nostro Paese, nelle sue varie composizioni assunte durante tutta la storia repubblicana. Dunque, Berlusconi non si è potuto fregiare del titolo “l’ultimo degli intoccabili” perché, oggi, è toccato a lui “dimostrare”, salvo gli errori giudiziari che ci possono stare, che i giudici, per loro mestiere, non fanno figli e figliastri.

Riguardo, poi, alle accuse di parzialità, o di schieramento politico velato sotto la toga, degli stessi giudici, fondata su interpretazioni troppo elastiche delle leggi, mosse dai politici, quando conviene loro, c’è da dire che il ginepraio delle polemiche riguarda una estensibilità interpretativa concessa, comunque, sempre e soltanto dal legislatore più per facilitarne una eventuale sua difesa, tutela o scorciatoia, che non per altre ragioni. Difficilmente, infatti, su questo terreno i governanti veri o potenziali incorrono in atti autolesionistici. Raro sì, però, può capitare. Quando succede, ovviamente, scoppia il finimondo con tutto quello che consegue: magistratura politicizzata e accanimento per annientare gli avversari politici. L’errore del giudice è da mettere certamente in conto nonostante i 3 gradi di giudizio, ma “buttarla” in politica è un’altra cosa e, oggi, in Italia, la tendenza generale, visti gli esempi che arrivano dall’alto, è di leggere le sentenze in chiave strumentale, politica, appunto.

Il leader del Pdl non era da condannare perché pedina fondamentale nello scenario politico del Paese? Che Berlusconi “voli alto”, dal punto di vista delle sue capacità individuali, rispetto a una media molto modesta e inadeguata dei nostri rappresentanti eletti in Parlamento, è un dato di fatto. Si può dire, per il suo ruolo di politico e di imprenditore, che l’avremmo voluto non implicato in casi giudiziari: sarebbe stato un bene per tutti.

Detto ciò, a fronte di un leader che è alla guida di un elettorato di circa dieci milioni di cittadini, ci sono i suoi sodali che per i due terzi sostengono l’impunibilità di Berlusconi perché indispensabile per le sorti del Paese, dimenticando che la legge è uguale per tutti, senza eccezioni. Ammesso che non solo la gran parte del suo seguito consideri l’ex premier una conditio sine qua non della politica italiana, ma condivida, per assurdo, tale opinione anche il resto degli italiani, è giusto esentarlo da qualsiasi giudizio o condanna? Ovviamente, solo la domanda che pone il dubbio è senza senso. L’Italia è un Paese civile, lo è diventato con il tempo e con il sangue di chi non si è risparmiato la vita perché così andassero le cose.

Ad ogni buon conto, per chi vorrebbe Berlusconi almeno un semidio, però, c’è una strada: proponga una deroga ai principi fondamentali, precisamente all’art. 3, della nostra Carta costituzionale, dove c’è scritto, appunto, che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge. E’ inutile e dannoso, in caso contrario, girarci intorno, come in realtà è sempre avvenuto finora. Se non ha il coraggio di fare questo, allora forse sarebbe auspicabile, finalmente, anche il suo silenzio sull’intera vicenda giudiziaria dell’ex premier.

Insomma, anche “buttandola” sulla politica e sul comizio, c’è un limite a tutto. Siccome, però, questi eccessi si verificano, ecco che