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La musica non è mai solo “ribelle”: addolcisce il sentimento e ricama l'esistenza di chiunque. Eugenio Finardi ha vestito di musica la sua vita, seminando il raccolto per le strade dei tanti che dagli anni Settanta a oggi sono cresciuti e cambiati con lui. Questi giorni hanno segnato l'ennesimo ritorno del cantautore nell'Isola che conosce nelle sue profondità. L'occasione è data dal concerto-evento che lo vede protagonista, questa sera a Bonnanaro, insieme agli Istentales, al Coro Amici del Folklore di Nuoro e ai Mamuthones di Mamoiada. Il progetto denominato “Fra il sacro e il profano” apre la stagione musicale dell'inedito ensemble. La Sardegna di Finardi spazia dentro una conoscenza appassionata che argomenta con cognizione: «Questa è un'Isola piena di musica. In nessun'altra regione d'Italia se ne produce tanta -dichiara il cantante milanese-. Alla fine dei miei concerti tutti si stringono nel cerchio di un ballo tondo e io ogni volta mi commuovo».
Eugenio Finardi nutre per la Sardegna un “amore diverso” e di rara intensità: «La Sardegna si ama e si rispetta: nell'arco di 35 anni l'ho vista crescere e cambiare. Conosco anche le piccole differenze che la rendono unica e speciale. È un continente di cultura, di linguaggi e di personalità differenti. Ci sono luoghi meravigliosi che non sono solo il mare e la Costa Smeralda: io amo le pietre di Gallura, gli infiniti orizzonti del Logudoro, l'asprezza della Barbagia addolcita dal profumo dei rosmarini. La Sardegna è soprattutto la sua musica. Il suono delle launeddas è il suono del vento, è il suono della nostra antichità ben impresso nel dna di ognuno di noi. Le tradizioni in questa regione vengono vissute con uno spirito quasi misterioso: è il rapporto dei sardi con la loro terra che mi affascina maggiormente». L'autore di “musica ribelle” ritiene che le launeddas debbano avere dall'Unesco il riconoscimento di “patrimonio dell'umanità”, così come è accaduto per il Canto a Tenore: «Le launeddas sono uno strumento antico e rappresentano la nostra memoria. Un riconoscimento di questo tipo è fondamentale per tutelare lo strumento e salvaguardarlo».
Eugenio Finardi si riconosce anche nella Sardegna che soffre, che non ha lavoro e che fatica a guardare negli occhi il domani. «Il futuro è come l'acqua di una cascata che viene giù e poi segue il suo corso. Il presente invece è rappresentato da una contingenza economica che ha inferto un doppio colpo: da una parte la crisi del mondo agropastorale, dall'altra il declino di una realtà industriale che non è mai decollata. Quest'Isola sarà presto in grado di rialzarsi. Chi è capace di riconoscere la bellezza è anche in grado di sopravvivere meglio. Questo è il popolo dei sardi».
Roberto Tangianu