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Incontro Valentina durante un freddo pomeriggio iglesiente, tra qualche lucina natalizia ancora accesa e l’odore delle zippole che ci ricorda che siamo vicini al carnevale. A Valentina Campus, giovane psicoterapeuta presso il Centro Clinico Matrioska, per pura coincidenza, proprio il periodo tra le festività natalizie e l’inizio di febbraio ricorda da otto anni quello più drammatico che in 35 anni di vita abbia dovuto affrontare: quello della morte di sua madre, Dolores. Non tanto per la morte in sé che, come mi ha detto, “non la accetti, ma la sopporti, la devi sopportare, semplicemente perché, da essere umano che segue il principio di sopravvivenza, non hai altra scelta”, ma per il modo in cui Dolores ha lasciato la vita terrena, “una fine indegna, ignobile, disumana, antietica, miserabile. Le hanno tolto pure la dignità oltre che la vita, e questo non deve esistere. Non lo accetto. È proprio vero che i cani hanno un diritto in più rispetto agli uomini, perché in quelle condizioni non si lascia nemmeno un animale”.
Un dramma che indubbiamente segna, fa soffrire, fa sentire impotenti, soprattutto per le condizioni che hanno caratterizzato la situazione, ma che nella forte e sorridente Valentina, ha rappresentato un input per creare qualcosa di grandioso, per sé, per sua madre, per tutti: raccogliere quante più firme possibili per rendere legale l’eutanasia in Italia: ne sarebbero servite 500mila. Ne sono state raccolte 1.235.470, in marzo ci sarà finalmente il referendum. Ma partiamo dall’inizio.
Ciao Valentina, com’è iniziato il tutto?
“Ciao a tutti, tutto è cominciato a inizio dicembre 2013, quando mia mamma, 55 anni, iniziò a non stare bene: eccessiva stanchezza e analisi del sangue, soprattutto quelle riguardanti il fegato, completamente sballate. Io ero convinta si trattasse di eccessivo stress o qualche malessere passeggero. Ero abbastanza tranquilla, stavo preparando un esame del 1° anno di specializzazione che avrei dovuto sostenere da lì a poche settimane. Nei giorni seguenti mamma fece alcune ecografie consigliate dal medico di famiglia, la diagnosi il 10 dicembre, tumore epatico. Da quel momento mi crollò il mondo addosso e iniziò una specie di corsa contro il tempo in cui volevo assolutamente trovare una soluzione, una via di salvezza per lei , per me, per mio padre, ma allo stesso tempo è come se mi fossi sentita immediatamente impotente. Pensavo che l’idea della morte di mia madre sarebbe stata insopportabile, ma poi mi sono ritrovata invece a sopportare che dall'ospedale ci rimandassero a casa perché ‘sotto le feste natalizie tutto si ferma’; che in 20 giorni il tumore avesse intaccato tutto l'organo riducendo a zero la funzionalità epatica; che mia madre fosse arrivata a pesare 40 chili; che non avesse più la forza nemmeno per parlare o bere acqua; ho sopportato quell'inversione di ruolo che mi ha portato ad assisterla come una bambina; ho sopportato la frase ‘non c'è nulla da fare’, e soprattutto ho sopportato la vista del suo corpo senza vita solo dopo un mese dalla diagnosi. E sapevo che quel dolore l’avrei portato sempre addosso, non passerà mai, ma ho imparato comunque a conviverci”.
Hai sopportato e accettato tutto questo. ma cosa ti ha spinto ad agire, nonostante i medici dicessero che non ci fosse nulla da fare?
“In tutto questo c'è qualcosa che mai e poi mai potrai metabolizzare: la sofferenza. Ciò che mia madre temeva più di ogni altra cosa e dalla quale non sono riuscita a tutelarla, lei non sarebbe mai voluta finire così. Un dolore che ti strappa letteralmente il cuore e che, la morte, ti porta ad invocarla e desiderarla. Ed è proprio stando accanto a quel corpo estraneo, perché quella non era mia madre, che non puoi far altro che pensare: tutto questo non deve esistere. Un cuore giovane e forte che continuava insistentemente a battere, un viso scheletrico dal quale trapelava solo dolore, un corpo senza forma, un rantolo agonizzante che credo mi rimarrà nelle orecchie tutta la vita: questo era mia mamma. La non esistenza di qualcosa di legale ed ufficiale, nel 2014, che potesse tutelarla mi faceva sentire impotente, ma allo stesso tempo mi fece attivare, così iniziai, il 15 gennaio, a 10 giorni dalla morte di mia madre, quando dall’ospedale l’avevamo portata a casa perché sapevamo che ormai sarebbe morta, a cercare su Internet qualcosa che avesse a che fare con l’eutanasia, trovando il sito dell’Associazione Luca Coscioni, che svolgeva allora una campagna per conseguire l’eutanasia legale in Italia ma che nel frattempo aveva già svolto qualche azione di disobbedienza civile, ossia aveva permesso a qualcuno di morire dignitosamente, anche persone molto conosciute, come Piergiorgio Welby”.
E da lì cos’è cambiato?
“Chiesi delle informazioni e mi risposero due referenti di Cagliari: Carlo Loi e Stefano Incani. Soprattutto quest’ultimo mi seguì dall’inizio della vicenda, era un rappresentante dell’UAAR (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti) e girò immediatamente la mia mail a Marco Cappato e Matteo Mainardi, che erano coloro che si occupavano proprio della campagna per l’eutanasia legale. Nel giro di poche ore loro mi risposero e diventarono subito come persone di famiglia, si facevano sentire ogni giorno, mi davano forza e coraggio finché il 25 gennaio mia mamma morì e loro mi chiesero una testimonianza da inserire sul loro sito. Da lì, mi iscrissi all’Associazione Luca Coscioni e divenni attivista, come alcuni dei miei più cari amici che mi seguirono a ruota, e tante cose sono cambiate”.
Quali conquiste ci sono state?
“Pochi anni dopo, nel 2017, riuscimmo ad ottenere le DAT (Disposizioni Anticipate di Trattamento sanitario), ossia un Testamento biologico, che ho fatto io stessa, prima ancora che in Italia ci fossero le DAT, pagando un notaio da cui mi recai con dei testimoni. Oggi in ogni Comune esiste un registro con le DAT e chiunque può farlo, io sono stata la prima registrata del Comune di Iglesias. Ho svolto tante campagne in giro per la Sardegna e online raccogliendo le firme per rendere l’eutanasia legale in Italia di cui, per arrivare ad un referendum, ne sarebbero servite 500mila, ma l’Italia si è fatta sentire, la Sardegna ha reagito benissimo, in particolare Iglesias e ora siamo a quota 1.235.470 firme, consegnate a Roma in ottobre, con la presenza della compagna di Dj Fabo, di Mina Welby e di tante altre persone che hanno affrontato situazioni simili alla mia. In marzo ci sarà finalmente il referendum e io sono assolutamente fiduciosa”.
Un regalo che non fai direttamente a tua madre ma che farai ad un sacco di altre persone in suo onore quindi.
“Assolutamente sì, sarebbe stato l’ultimo regalo che avrei voluto farle, un grande gesto d’amore di una figlia alla propria madre, me ne sarebbe stata grata e sono sicura sia assolutamente orgogliosa del grande risultato raggiunto, lo dedico a lei, con tutto il cuore. E non smetterò mai di ringraziare l’Associazione Luca Coscioni, sempre in prima linea durante tante battaglie per i diritti civili, persone magnifiche che mi hanno ascoltato, aiutato, come non sono riuscite a fare tanti che già conoscevo, tra cui molti medici con cui ebbi a che fare in quel periodo.”
Un grandissimo risultato quindi, ci risentiamo a marzo Valentina!