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Gentile Sig. Alessandro Gilioli
il suo pensiero postato su Facebook “io vorrei ricordare a chi contesta il Nobel a Dylan che l’hanno dato a Grazia Deledda” non è passato inosservato.
Intanto grazie per avercelo ricordato. La sua puntualizzazione da “storico” dell’Accademia svedese colma “lacune” profonde e soprattutto stimola il dibattito, considerando le reazioni che hanno fatto seguito a quanto da lei fissato con superficiale perfidia.
Si potrebbe aggiungere che il Nobel lo hanno dato anche a Selma Lagerlöf, a Gabriela Mistral, a Svjatlana Aleksievic, giusto per sparare nel mucchio, ma sono certo che lei conosce senz’altro anche l’opera narrativa delle signore citate, oltre a quella della Deledda.
E’ vero, non abbiamo gradito il termine di paragone, in negativo per di più, tra Dylan e la Deledda.
Bob Dylan ha cantato le vite degli altri, le ha tradotte in poesia. I suoi versi hanno scolpito la musica e come i grandi del mondo destinati a brillare, ha dato nuova luce all’arte di cui siamo tutti assetati beneficiari.
L’assegnazione del Premio Nobel per la Letteratura aggiunge un riconoscimento al merito indiscusso di un interprete che viaggia nella storia.
La Deledda è un’altra cosa.
Come tanti personaggi dei suoi romanzi, Grazia aveva un sentimento istintivo della natura, l’anima della sua terra. Scavava nel suo mondo.
Ha avuto il merito di scoprire la Sardegna presentando il volto e l’anima di un popolo sconosciuto, di rivelare un’isola nella sua totalità fisica e spirituale.
Il suo non era “un popolo inventato, ideale, come si vorrebbe che sia quello in cui si vive, non uomini e donne che sarebbero gli stessi fra le sabbie del deserto africano o avendo alle spalle le Alpi o gli Appennini, ma gente abbarbicata alle impervie montagne della Barbagia”.
Grazia Deledda, attraverso le sue opere e il suo operato, aveva scoperto se stessa, la sua famiglia, il suo paese; aveva delineato un modo di vivere, di amare e di odiare, di vedere e di agire.
Il Premio Nobel del 1926 è stato dato alla scoperta di questo unitario sentimento fra l’uomo e la natura che non poteva appartenere né ad uno stile, né ad una corrente letteraria, ma ad un istinto interiore e primogenio dell’anima locale.
Grazia Deledda ha “inventato” un nuovo modo di fare letteratura semplicemente raccontando l’esistente a tutti sconosciuto.
La grandezza della scrittrice sta nella sua storia: basta immaginare il luogo in cui nasce e cresce, i tempi lontani e difficili in cui vive, le ostilità che affronta per “esistere” e “manifestare” a partire dal contesto familiare e sociale, il temperamento e l’ostinazione con cui trasforma l’energia in determinazione.
Basta immaginare il talento che lei, caro giornalista, contesta con superficialità e che altrove invece riconoscono, prima ancora del Nobel, “per la sua ispirazione idealistica, scritta con raffigurazioni di plastica chiarezza della vita della sua isola nativa, con profonda comprensione degli umani problemi”.
Il carattere della Deledda emerge anche durante l’incontro con Benito Mussolini che le aveva ufficializzato l’invito a Palazzo Venezia in quanto Premio Nobel della Letteratura.
L’ufficial