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Nel suo ultimo romanzo, Michele Serra racconta la difficoltà di un cinquantenne a entrare nel mondo del proprio figlio. Già alla quinta ristampa, il libro è al primo posto per numero di vendite da alcune settimane.
Essendo Michele Serra un uomo dotato di ironia, ma anche di autoironia, non se la prenderà a male se diciamo che “Serra batte Fabio Volo” potrebbe essere un buon titolo per Satira preventiva, la rubrica comica che tiene settimanalmente sull’Espresso. Gli sdraiati, suo ultimo romanzo, da alcune settimane è al primo posto nella classifica dei libri più venduti. Volo, che è un uomo spiritoso e cosciente delle proprie virtù come dei propri difetti, si immagina stia vivendo con serenità il sorpasso da parte di un intellettuale. D’altra parte l’entertainer bresciano, nel suo ultimo romanzo La strada verso casa, racconta anche lui una storia di separazione –nel suo caso tra fratelli, nella storia di Serra tra padre e figlio- perciò se lo leggesse (e può darsi che lo abbia già letto) ritroverebbe qualcosa di suo.
Abbiamo approfondito con Serra alcuni aspetti interessanti che emergono dalla lettura del romanzo.
Ti aspettavi un consenso di queste proporzioni per Gli sdraiati?
«No. Sapevo che l'argomento del libro – il passaggio di consegne tra un padre e un figlio – è nevralgico, e tocca nervi scoperti e sentimenti profondi. Ma non era immaginabile un successo così vasto, così “pop”. Anche perché il libro, in molti capitoli, è tutt'altro che facile, è spigoloso, e ha diversi piani di lettura».
I ragazzi che descrivi nel libro sono consumisti ma adorano le serie televisive che sbeffeggiano il capitalismo. Come spiegare questo apparente paradosso?
«Sono cresciuti in mezzo al consumo easy, apparentemente naturale come lo scorrere di un fiume. Diciamo un consumo acritico. Ma almeno questo non è colpa dei ragazzi. L'argine che è crollato era stato costruito, evidentemente malissimo, dagli adulti».
Che lingua dovrebbero parlare gli insegnanti per avvicinarsi al loro mondo?
«Una lingua chiara e possibilmente seducente, che racconti quanta bellezza esiste nel mondo, quanto pensiero hanno saputo produrre gli umani. Ma anche una lingua fatta di regole. Le regole che i genitori sono sempre più incapaci di trasmettere e di far rispettare rappresentano, per la scuola, una grande possibilità di riscatto. A famiglie “liquide” sarebbe bello che corrispondesse una scuola più strutturata e più intransigente, anche per creare un luogo non solo complementare alla famiglia, ma anche profondamente diverso e autonomo. Dico spesso, per paradosso e per provocazione, che ai genitori dovrebbe essere vietato per legge avvicinarsi troppo alle scuole».
Nel libro è assente, per questioni di scelta narrativa, la figura della madre. Le mamme, rispetto ai papà, potrebbero risultare la chiave di volta per entrare nell'universo così impenetrabile dei figli?
«È vero, il mio è un libro maschile: lo è per scelta e anche, un poco, per timidezza. È imperfetto anche perché non è un saggio, è un romanzo in cocci, è narrazione pura. Quanto alle madri: sono genitori anche loro, con molti problemi in comune con i genitori di altro sesso. La loro tentazione specifica, mi sembra, è essere iperprotettive e produrre continuamente alibi per i loro figli. Se a madri indulge