La vicenda dei due marò italiani ripartiti precipitosamente in India quando ormai era dato per certo dal nostro Governo che non avrebbero più lasciato l’Italia, disobbedendo al patto di farli rientrare al termine della licenza concessa per esercitare il loro dritto di voto, sta diventando sempre più ingarbugliata.

Da ieri Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono nell’ambasciata italiana di Nuova Delhi e lì pare che vi resteranno fino alla celebrazione del processo a loro carico. Sembrerebbe di capire che il Governo di Roma oltre alla rassicurazione che nei confronti dei due sottufficiali, quand’anche ritenuti responsabili della morte di due pescatori indiani, non saranno applicate né torture né pena di morte, abbia ottenuto il benestare per la loro permanenza nella nostra sede diplomatica, in attesa appunto del processo. 

La clamorosa decisione di far ripartire i due marò, dopo averne negata la consegna, ha sorpreso tutti e scatenato un putiferio a livello politico. Non dimentichiamo che gli ultimi eventi hanno coinvolto direttamente, con misure restrittive senza precedenti, il nostro ambasciatore Daniele Mancini. Il quale è rimasto ostaggio, con il divieto di lasciare il Paese,  delle Autorità indiane non appena appresa la notizia della decisione dell’Italia di non ottemperare ai patti di cui lo stesso Mancini si era reso a suo tempo  garante. Probabilmente, il Presidente del Consiglio Mario Monti non aveva messo in conto una ritorsione pronta e veemente del Governo indiano di fronte alla violazione degli accordi convenuti. Intanto, però, la frittata era fatta. Venire fuori da una situazione diventata intricatissima non deve essere sembrato facile allo stesso Monti, che, costretto a ritrattare le decisioni prese sulla vicenda, è dovuto soccombere per evitare ulteriori pasticci e soprattutto per non mettere a repentaglio l’immagine  e il prestigio dell’Italia nel mondo, nonché  l’integrità fisica e morale dei protagonisti più deboli quanto impeccabili di tutta la vicenda. E’ successo che quello che inizialmente era sembrato presentarsi come un incidente (la morte di due pescatori o presunti tali) risolvibile sul piano tecnico-giuridico fondato sul diritto internazionale, a mano a mano ha dato luogo a un caso che si è ingigantito sempre di più, rispetto al quale la diplomazia italiana ha segnato il passo, o addirittura fallito.

Comunque sia, ricorrendo a un eufemismo, non è stata una bella figura, in Italia come all’Estero.                                                                                                                                          E’ legittimo a questo punto, in un groviglio di situazioni, di cause e di dinamiche per ora ancora oscure, porsi qualche domanda.  Ad esempio, quando i due marò rientrarono in India al termine della licenza per le festività natalizie, il nostro Governo era così sicuro che decidendo per la loro partenza non sarebbero state applicate ai militari, in caso di colpevolezza,  misure detentive o persino la pena di morte non previste nel nostro Paese? Perché il problema si è posto solo ora?  In India come in Italia, la magistratura è indipendente rispetto al potere politico, per cui qual è l’attendibilità delle garanzie senza rilevanza giuridica che sarebbero state offerte all’Italia riguardo alla possibilità di non applicare, in caso di sentenza di condanna, la pena capitale? L’opinione pubblica aspetta queste e altre risposte. Già, l’opinione pubblica.

Fermo il suo diritto di sapere, si divide anch’essa in più correnti di pensiero. Però se lo può permettere, perché non deve prendere decisioni e l’attivismo é sempre positivo. E allora ecco che, ad esempio, c’è chi vede ferita l’immagine dell’It