“Ci troviamo sulla parte superiore dell’osservatorio dell’artiglieria, dell’arco di contenimento che presidiava la parte di Capoterra, un panorama sulla costa di Cagliari spettacolare, dominava tutta la situazione logistica e militare, un posto bellissimo del quale i soliti vandali non hanno avuto per nulla rispetto. Da notare la presenza di cosiddetti 'satanisti'. E’ assurdo, idiozie intollerabili, così facendo distruggono la storia della nostra Isola". 

Mauro Dadea, archeologo, facente parte della Cooperativa Poggio dei Pini, durante il sopralluogo con il cronista di Sardegna Live, nel descrivere i dettagli dell’arco di contenimento “dimenticato” da tutti, è amareggiato: “All’interno di un’ex postazione militare risalente al 1942 – dice – c’è chi ha portato rifiuti, bottiglie di vino, immondizia, poi con le bombolette spray ignoti hanno deturpato muri e cunicoli. Da notare – aggiunge preoccupato – la presenza di imbecilli, cosiddetti satanisti che non hanno di meglio da fare che sfregiare per sempre un patrimonio di inestimabile valore storico e culturale”. 

L’opera di valorizzazione, iniziata appena due anni fa 

Il Grusap, la Cooperativa Poggio dei Pini, l'Università della Terza Età e Assfort Sardegna avevano avuto la bellissima idea di valorizzare il Parco della Memoria dove sono presenti i fortini. Il territorio di Poggio dei Pini racchiude infatti il Caposaldo V (nome in codice "Messina") dell'Arco di contenimento di Capoterra, un complesso sistema fortificato che aveva il compito di difendere Cagliari e il Campidano, durante la seconda guerra mondiale, bloccando eventuali sbarchi nemici. Il Grusap, in collaborazione con la Cooperativa Poggio dei Pini, intende promuovere il recupero e la valorizzazione di queste testimonianze culturali, restituendole al loro ruolo di preziose memorie storiche. 

I cenni storici 

Durante la seconda guerra mondiale, in previsione di un eventuale tentativo, da parte alleata, di occupare la Sardegna, le coste dell’isola furono dotate dal Regio Esercito italiano di un articolato sistema di postazioni antisbarco. 

Il particolare Cagliari, per la sua importanza strategica, venne fortificata non solo direttamente, sul fronte a mare e nelle sue installazioni portuali, aereoportuali, ferroviarie e industriali, ma anche nelle immediate vicinanze, per impedire al nemico possibili manovre di aggiramento dall’entroterra. 

Sorsero così, a est e ovest della città, l’“Arco di Contenimento” di Quartu Sant’Elena e quello di Capoterra, due sistemi difensivi con fortificazioni in calcestruzzo e batterie d’artiglieria controcarro, abilmente mimetizzate, cui era affidato il compito di ritardare la progressione di nemici sbarcati per occupare la capitale sarda e il retrostante Campidano, permettendo così ai nuclei mobili di organizzare azioni controffensive. 

I lavori per la realizzazione della linea fortificata occidentale ebbero inizio nel febbraio 1942 e furono consegnati alla 635ª Compagnia Mitraglieri il 2 ottobre dello stesso anno. Il sistema difensivo, composto da sette gruppi di postazioni in cemento (“capisaldi”), si estendeva da La Maddalena Spiaggia a Baccalamanza, passando per zona Podere Vannini (Sant’Angelo), Fra Giuanni, San Girolamo (Sa Guardia Longa), Monte Pauliara, Planu ’e Mesu e Sa Perda ’e Sa Scova, a presidiare le vie di penetrazione formate dalle valli del Rio San Girolamo e del Rio Masoni ’e Ollastu. Oltre a una trentina di fortini in calcestruzzo, l’arco comprendeva anche due batterie di artiglieria (la prima, da 75/27, a Monte Pauliara; la seconda, da 155/36, a Sa Perda ’e Sa Scova) ed era completato con appostamenti leggeri in muratura, trincee, ricoveri, campi minati e ostacoli. Nel luglio 1943 una terza batteria da 155/36 (la 629^ Batteria costiera) fu dislocata a ulteriore rinforzo del presidio in località Tanca di Nissa, a mezza strada tra La Maddalena Spiaggia e l’aeroporto militare situato in località Maria Luisa, nella zona di Macchiareddu; mentre un’ultima batteria da 75/27 presidiava l’altura di Monte Luas/Antigori (fronte attuale stabilimento SARAS), in territorio di Sarroch. 

L’attuale area di Poggio dei Pini faceva parte integrante del sistema, di cui ospitava il Caposaldo V, nome in codice “Messina”, adagiato sulle pendici sud-orientali del Monte Pauliara (anello Strada 25 e immediate adiacenze), e il comando generale, posto nella “Casa Medau” (il cosiddetto “Rudere” ex sede del Grusap, nel prolungamento della Strada 5, vecchio bilocale agricolo a piano terreno, risalente al tardo Ottocento, che costituisce la più antica unità edilizio del territorio).

Il Caposaldo V “Messina” era anzitutto formato da due “postazioni protette ai piccoli calibri”, fortini in calcestruzzo di tipologia “poliarma” (dotati cioè di fucili mitragliatori e di mitragliatrici), con le pareti esterne modellate a imitare un affioramento roccioso, entrambi attualmente compresi all’interno di lotti privati a monte e a valle della Strada 25, nel suo tratto rivolto a nord-est: uno riutilizzato come deposito per attrezzi (n. 1 della pianta) e l’altro come cantina (n. 2).

In cresta al rialzo delimitato dalla stessa Strada 25 si snodano, sostanzialmente paralleli all’asse terrestre, i resti della batteria da posizione costiera che era formata da quattro cannoni rispettivamente posizionati in due piazzole circolari (Ø m. 5.50), al capo meridionale della linea di fuoco (nn. 5 e 7), e su altrettanti bassi basamenti cilindrici in calcestruzzo(Ø m. 2.00) , protetti da una semplice muriccia paraschegge, al capo opposto (nn. 11 e 12).

Qualora necessario, nel caso ad esempio di un mitragliamento aereo, i serventi della batteria potevano cercare rifugio in tre piccole trincee a gomito escavate a breve distanza dalle postazioni di tiro (nn. 6, 10 e 13). Il loro sviluppo lineare è complessivamente di m. 7.00, la larghezza di m. 0.30 e la profondità di m. 1.50 circa. Per il deposito di materiale strategico o come riparo dalle intemperie, invece, erano disponibili due piccole riservette centinate con volta costruita in mattoni forattini, una posizionata in cima al colle (n. 9) e l’altra, a nord-est, alla base dell’attuale Strada 25 (n. 15). 

Sempre nel settore maggiormente rilevato dell’altura si erge un piccolo osservatorio in casamatta di calcestruzzo (n. 8), formato da due angusti ambienti contigui collegati da una finestrella aperta nel tramezzo di separazione, nel quale era forse allocato un telemetro a coincidenza: strumento ottico utilizzato nei sistemi di puntamento delle armi a lunga gittata che, fino al secondo conflitto mondiale, equipaggiava le artiglierie, i mortai e le squadre di mitragliatrici della maggior parte degli eserciti.

I poli estremi della batteria erano piantonati da altrettante “postazioni in barbetta” per fucile mitragliatore e per mitragliatrice, il cui diametro è in entrambe di m. 3.00 e la profondità di m. 1.30 circa. L’una (n. 16), sopra l’attuale incrocio fra la Strada 21 e la Strada27, aguardare il vecchio ponte della Strada dei Genovesi (nella valletta tra la Strada 3 e la Strada 31); l’altra (n. 4), posta in margine all’attuale confluenza tra le Strade 1, 23 e25, apresidio del sentiero d’accesso a un sovrastante osservatorio di artiglieria.

Tra quest’ultima e i due fortini poliarma già menzionati, a mezza costa sul versante orientale del colle, si apriva un vasto ambiente sotterraneo con duplice ingresso, scavato nella roccia granitica in funzione di rifugio o di deposito munizioni “in caverna” (n. 3), che purtroppo nel 2008 è stato intercettato dagli sbancamenti preliminari alla costruzione di casa Mandas (Lotto 199, Strada 25); mentre l’apertura della rete viaria del Poggio, negli anni Sessanta, aveva già causato la completa distruzione di quello che potrebbe essere stato un altro osservatorio in casamatta, almeno a giudicare dagli scarsi affioramenti delle assise di fondazione in calcestruzzo, sul fondo della Strada 25 nel suo tratto parallelo alla Strada 21 (n. 14).

Da quanto finora esposto, si rileva che il Caposaldo V “Messina” fosse stato strutturato in modo da poter opporre a un eventuale attacco nemico anzitutto un fronte avanzato - costituito da due fortini poliarma e altrettante postazioni “in barbetta” - funzionale a proteggere una linea di fuoco formata da quattro cannoni in batteria scoperta che, con i loro tiri, avrebbero potuto spazzare agevolmente la piana sottostante fino alla costa.

Il caposaldo, composto da otto postazioni armate e uno (o forse due) osservatori di puntamento, dovette quindi essere stato presidiato da una compagnia di artiglieri formata da almeno settanta unità, che nei turni di riposo e per le refezioni usufruivano con ogni verosimiglianza degli apprestamenti di retrovia realizzati al riparo, sul rovescio della cresta, oggi ancora in parte visibili lungo il prolungamento sterrato della Strada 21. Si tratta, da nord a sud, di una riservetta centinata del tutto simile alle altre due precedentemente descritte, mascherata da finto rudere (n. 17); di un altro finto rudere posto a breve distanza, forse il quartiere ufficiali (n. 18), che il ritrovamento di alcuni caratteristici bottoncini troncoconici in alluminio, R.E. Mod. 29, rivela essere stato ricoperto con teli tenda mimetici; di una piattaforma rettangolare in pietrame e calcestruzzo, di m. 32.50x6.50, rilevata sul piano di campagna m. 0.40, con resti di quattro pilastri a sezione quadrangolare (m. 0.50x0.60) eretti a uguale distanza lungo entrambi i lati brevi (n. 19), servita da una adiacente trincea a gomito di protezione antiaerea (n. 20); di un’altra più ampia piattaforma, di m. 40.00x7.00, ricavata incidendo alla sua base il costone occidentale del colle fino alla profondità di m. 1.50 circa, almeno parzialmente pavimentata con un robusto battuto di cemento dello spessore di m. 0.08, sul cui margine settentrionale insistono due piccole strutture in calcestruzzo e mattoni, con basamento a scarpa, oggi quasi del tutto distrutte (n. 21). Il recupero avvenuto nel suo ambito, in fase di disboscamento e sommaria ripulitura, di alcuni piccoli reperti materiali (un frammento di vetro da finestra; frammenti di piatteria d’ordinanza in porcellana bianca priva di decorazioni; porzioni di lamina in alluminio recanti evidenti segni di trinciatura meccanica effettuata per mezzo di forbicioni, derivanti forse da pentolame da campo; alcuni altri bottoni per telo tenda Mod. 29; due grossi chiodi a sezione quadrata, connessi a qualche robusta impalcatura lignea) farebbero pensare che in questo spazio fossero dislocati i locali igienici, le cucine da campo e gli annessi attendamenti mensa. Non è forse neppure da escludere l’eventuale presenza di una piccola officina per il rimessaggio mezzi, ma solo la realizzazione di un’apposita campagna di scavo archeologico potrebbe diradare in merito ogni residuo di dubbio.

Le comunicazioni tra i vari punti del caposaldo erano probabilmente garantite da una linea telefonica da campo, come parrebbero indicare le canalette per il passaggio dei relativi fili visibili nell’osservatorio in casamatta, in cima al colle, e alcune piccole buche per pali, rinforzate in cemento, sporadicamente riscontrabili sul terreno.

Di particolare interesse architettonico, infine, si rivela il già accennato osservatorio di artiglieria abbarbicato al contrafforte sud-orientale del Monte Pauliara, immediatamente all’esterno della proprietà Poggio dei Pini, funzionale al puntamento delle batterie annesse ai Capisaldi V e VII.

L’impianto, in roccia e calcestruzzo, si sviluppa su due livelli dotati di altrettanti ingressi. Attraverso quello più arretrato - rispetto alla linea del fronte - si accede a un disimpegno rettangolare dal quale, perpendicolarmente a uno dei lati maggiori, un lungo corridoio in roccia, probabilmente studiato anche in funzione di rifugio antiaereo per gli addetti alla struttura, conduce all’osservatorio più basso, in casamatta di calcestruzzo mascherata con pietrame locale. Di qui una scala alla marinara sale a un secondo osservatorio, dietro al quale si trovano un ulteriore vano con finestre e il secondo ingresso.

Alla vigilia dell’armistizio, il Settore Capoterra era in carico al 174° Reggimento Costiero (agli ordini del Ten. Col. Francesco Paolo Francese), che coordinava i Battaglioni Costieri 395°, 408° e 422°, quattro Compagnie Mitraglieri, una Compagnia Cannoni e due Nuclei Anti Paracadutisti.

Nell’estate 1943 giunse a Capoterra anche il 903° Battaglione tedesco da fortezza, che si schierò a rinforzo dei primi cinque capisaldi dell’Arco - quindi anche a Poggio dei Pini - e tra Maddalena e Torre su Loi. Il relativo comando fu allocato presso le “Case Orrù”, l’attuale cosiddetta “Casetta Rosa” che sorge tra Poggio dei Pini e Residenza del Poggio.

All’8 settembre 1943 vi furono attimi di tensione nei capisaldi. I tedeschi, ritirandosi, volevano far brillare alcuni fortini, ma l’energica resistenza delle truppe italiane fece sì che il contingente degli ex alleati cedesse ordinatamente le posizioni, sganciandosi verso il nord Sardegna. Il Comando reggimentale si spostò a Capoterra centro e i vari capisaldi, entro la fine dello stesso anno, furono progressivamente smilitarizzati e abbandonati.

 (si ringraziano per la fondamentale collaborazione Mauro Dadea, Daniele Grioni, Giuseppe Carro) 

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