Roma, 21 mar. - (Demografica/Adnkronos) - Prevenzione, nuove tecnologie, eccellenze e criticità del sistema salute italiano, tenendo sempre a mente che al centro deve esserci il paziente. Questi i temi, attuali e complessi, che sono stati approfonditi durante il convegno ‘Salute e Sanità, una sfida condivisa’, organizzata da Adnkronos presso il Palazzo dell’Informazione a Roma. Un incontro che si è incentrato su due direttrici: la gestione delle risorse, quindi di problemi quali le liste d’attesa e l’accesso ai pronto soccorso, e l’innovazione tecnologica, che richiede una costante formazione e un nuovo approccio al paziente. Sullo sfondo, una medicina che cambia.

Risorse e organizzazione, un binomio inscindibile

Si parte da un presupposto, messo subito in chiaro da Francesco Rocca, governatore della Regione Lazio: “Il sistema sanitario italiano è uno dei migliori del mondo”. Fondamentale è il suo universalismo, ha sottolineato Rocca: “Io credo nel servizio sanitario universale, perché ho conosciuto gli altri sistemi sanitari avendo girato il mondo in un’ottica di chi cerca di servire le persone più vulnerabili. E quindi in questo senso il mio servizio sanitario me lo tengo stretto e lo proteggo e faccio di tutto per rafforzarlo”

Cosa serve per mantenerlo a sua volta in salute e migliorarlo? Servono risorse ma, a monte, un’organizzazione adeguata, altrimenti diventa impossibile spendere bene i fondi di cui si dispone.

D’accordo il direttore generale del Policlinico romano Umberto I, Fabrizio D’Alba, intervenuto su Pronto soccorso e liste d’attesa e che ha sottolineato come il tema delle risorse non possa essere svincolato da quello dell’organizzazione, perché il sistema sanitario è a risorse ‘scarse’, ovvero definite, quindi da gestire al meglio: “Una risorsa è adeguata o meno anche in base a quello che si decide di offrire”. Tutto passa attraverso la definizione dell’offerta assistenziale perché o si adeguano e ottimizzano le risorse oppure si rimodula l’offerta.

Ma, ha precisato D’Alba, occorre anche lavorare sull’appropriatezza che condiziona l’accesso alle strutture e i percorsi assistenziali. Sulle liste d’attesa, “dobbiamo far capire ai cittadini che la risposta a un bisogno ambulatoriale deve darlo il sistema, non una struttura singola”.

Il sistema sanitario come pilastro della democrazia

Un altro aspetto evidenziato nella mattinata è stato il ruolo del sistema sanitario come pilastro della democrazia, secondo i principi fondanti di universalismo, equità e uguaglianza. “Se non è più così, perché non ce li si può più permettere, occorre pensare a strade alternative governandole politicamente”, ha spiegato Nino Cartabellotta, presidente Fondazione Gimbe. “Ci illudiamo di poter avere la spesa sanitaria pro capite più bassa d’Europa e con un ampio paniere di servizi Lea. Risultato: metà del Paese non ha avuto servizi e il personale sanitario è stato mortificato, ora non li ricompri nemmeno coi soldi: la spesa per il personale andrebbe tolta dal deficit dei Paesi, che permetterebbe a tutti di investire adeguatamente nel personale”, ha chiarito il presidente che auspica “un patto sociale: ognuno deve rinunciare a un pezzo di privilegio, a regole immutate non se viene fuori”.

Inoltre, ha continuato Cartabellotta, occorre ridefinire i Lea, perché se ad esempio la diagnostica di bassa complessità ormai la fanno i privati, quindi i cittadini la pagano di tasca propria o attraverso le assicurazioni, “perché non levarla dai Lea”? Sicuramente, ha riconosciuto il presidente Fondazione Gimbe, si tratterebbe di una misura impopolare, ma è importante tenere a mente che “il livello di salute e benessere della popolazione condiziona la crescita economica del Paese”.

Anche Paolo Petralia, vice presidente vicario Fiaso, ha parlato di patti e accordi. Medici, pazienti, stakeholders, politica, aziende dovrebbero mettersi insieme e trovare una sintesi: “E’ tempo di una grande alleanza per fare una grande riforma, culturale prima che organizzativa”, con alla base un pensiero sostenibile e condiviso “con il paziente, o meglio la persona, al centro, in una logica complessiva di tenuta”.

La medicina territoriale: medici, farmacie, Case della Comunità

Si è poi parlato di medicina territoriale: “E’ fondamentale – ha detto Rocca -, è uno dei temi che deve essere accompagnato con attenzione a riprendersi, perché comunque è stato trascurato troppo a lungo. È la presa in carico del paziente, l’accompagnamento dei nostri cittadini nel momento di cui hanno necessità di un’attenzione medica, quindi su questo c’è un grande investimento programmato sulle Case della salute, gli Ospedali di comunità. E poi, ovviamente, una buona medicina del territoriale è un ottimo filtro soprattutto per i nostri pronto soccorso cittadini”.

Il governatore della Regione Lazio ha fatto riferimento alle case di comunità, le nuove strutture socio-sanitarie che entreranno a far parte del Servizio Sanitario Nazionale per potenziare e sviluppare l’assistenza territoriale e che prevedono un modello di intervento multidisciplinare, riunendo specialisti di vari settori per garantire servizi correlati al bisogno di diagnosi e cure della popolazione.

Sul tema concorde Loreto Gesualdo, presidente Fism, per il quale anche le società scientifiche possono fare molto per mettere al cento il paziente e per il quale le case di comunità “devono fare multidisciplinarietà nello stesso posto, di concerto con RSA e ospedali”, perché spesso “il paziente è multidimensionale”, ha più patologie. Un tipo di organizzazione che, ha evidenziato, avrebbe ricasco sul decongestionamento dei Pronto soccorso e degli ospedali stessi.

E nel contesto della territorialità anche le farmacie possono avere un ruolo significativo come punti di riferimento di prossimità, quindi rimettendo al centro i bisogni del paziente. Ne ha parlato Marco Cossolo, presidente Federfarma, chiarendo che questo ruolo non è in alternativa a quello del medico di famiglia, bensì in team: le farmacie possono essere vicine alle persone non solo fisicamente ma anche come orari e professionalità. In particolare, gli ha fatto eco Sabrina De Camillis, head government affairs & communications GSK Italia, i pazienti più anziani che, tra le altre cose, potrebbero accedere alla prevenzione, quindi alle vaccinazioni, in un luogo conosciuto e di facile accesso.

Notevole anche il contributo che possono dare i medici di famiglia. Fiorenzo Corti, vice segretario nazionale Fimmg, oltre a sottolineare come non sempre sia garantito al cittadino il diritto di scegliere o cambiare il medico territoriale, ha spiegato anche il valore aggiunto di questa figura che potrebbe intervenire, tra le altre cose, nella gestione della patologia cronica e dell’assistenza domiciliare. O anche procedere a una diagnostica per immagine negli studi. Corti però ha tirato anche un po’ le orecchie ai pazienti, che devono cambiare il loro approccio e non vedere più il medico di famiglia solo come quello che fa le ricette.

Medicina difensiva e prevenzione, il ministro Schillaci

Corti è tornato poi su un tema caldo già sfiorato, quello dell’appropriatezza delle prestazioni: “Non è detto che aumentando l’offerta il sistema migliori il servizio, molte volte si fanno esami non si sa perché”.

Ed è stato il ministro Schillaci ad approfondire questo punto: in Italia si ricorre molto alla medicina difensiva che porta a “over prestazioni per 8-9 miliardi l’anno”. Invece, ha evidenziato Schillaci, “chi ha bisogno deve poter fare gli esami giusti nel momento giusto”. Ecco perché il ministero ha messo in piedi lo scudo penale per i medici, calcolando anche che nel 98% dei contenziosi non si ravvisa un illecito di questo tipo nel loro comportamento. Stando questo dato, diventa invece importante garantire agli operatori sanitari la serenità per poter svolgere il proprio lavoro.

Schillaci ha poi messo in luce la necessità di non abbandonare il paziente dopo la diagnosi o l’intervento, ma di realizzare un adeguato follow up: “Non lasciarlo solo”.

Il ministro è intervenuto anche sulla prevenzione, sottolineando come in questo campo “non si spende ma si investe”. L’obiettivo è sì vivere di più, e l’Italia ha una delle aspettative di vita più alte del mondo, ma anche di invecchiare meglio e in salute, o oggi non è sempre così. Un obiettivo che parte da lontano, “dall’educazione ai corretti stili di vita fin dalle elementari”.

Un aspetto già toccato da De Camillis, per la quale “la prevenzione deve essere la star”, a cominciare dalle vaccinazioni che possono contribuire a mantenere in salute l’anziano e portare a un invecchiamento attivo. “Non servono più risorse ma una loro organizzazione più efficiente, usando anche le farmacie, ha affermato”. Anche perché maggiore salute significa anche meno esami e meno ricoveri quindi meno ingolfamento del sistema e liste di attesa più snelle. A vantaggio dei pazienti.

Il ruolo delle nuove tecnologie: un nuovo approccio per tutti

Infine, le nuove tecnologie sono fondamentali per mettere il paziente al centro: innovazioni che, ha sottolineato Francesco Gabrielli, professore di eHealth all’Università San Raffaele, stiamo imparando man mano ad usare: oggi abbiamo una serie di dati dall’interno del corpo umano che ci consente una visione molto diversa rispetto alla medicina ‘800 e ‘900esca. Servono però la sperimentazione clinica e un cambio di approccio, perché se continuiamo con i tempi di 50 o 100 anni fa abbiamo un sistema vecchio, non adatto alle esigenze attuali.

Anche per D’Alba il ruolo della tecnologia è fondamentale, perché “consente di regolare in modo alternativo la prestazione e rendere più snelli e trasparenti i percorsi di prenotazione”.

Paziente al centro anche attraverso la medicina predittiva, come ha rimarcato Gaetano Marrocco, Director of the Medical Engineering Schoolall’Università di Roma Tor Vergata, pensando da una parte al fenomeno della dematerializzazione del dispositivo medico che “diventa non più esterno ma spalmato sul corpo come una seconda pelle”, che fa analisi sui parametri vitali e trasmette i dati, e dall’altra alla digitalizzazione delle protesi, diffusissime (basi pensare alle capsule dentarie).

Innovazioni che portano a una migliore qualità della vita: la digitalizzazione del dispositivo medico “potrebbe rilevare la temperatura corretta e anche la pressione, più precisa, senza l’effetto camice bianco”, che la fa innalzare quando è il medico a misurarla. “Si tratta di un cambiamento epocale – ha concluso Marrocco – perché dà una visione completamente differente” della salute del singolo, “ma anche permette di applicare le cure in maniera più adeguata”.

In sintesi, il fil rouge tra i tanti interventi che si sono susseguiti durante i lavori è che per una sanità che metta al centro il paziente occorre la collaborazione di tutti: dalla politica alle aziende farmaceutiche, dalle società scientifiche ai medici e agli infermieri, fino alle farmacie sul territorio. Ma anche c’è bisogno del paziente stesso, perché, come ha sottolineato Pietro Giurdanella, consigliere Comitato centrale Fnopi (Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche), in un’epoca digitale il cittadino non può più essere passivo ma deve svolgere un ruolo attivo.