Quanti canti ancora avrebbe riannodato in questi 20 anni che non c’è più stata, se solo il destino avesse deciso diversamente per lei. 

Maria Carta è uscita di scena il 22 settembre del 1994, nel dolore di un male che ha consumato il suo corpo senza spegnere la sua voglia di vivere e di amare la vita.

Nei suoi occhi ha vibrato il carattere di un popolo di cui si è sentita fiera e paladina, col suo canto ha cosparso frammenti di storia e di Sardegna nel mondo affinché non calasse il sipario sul teatro di un’isola che aveva “sofferto affanni da secoli” e strizzato versi d’amore e dolore nelle poesie. 

Era nata a Siligo e della sua terra aveva saputo cogliere il respiro, le albe e le ombre dei fiumi distesi sui panni da lavare quando le prime luci sorprendevano il nuovo giorno, le antiche filastrocche e i canti dell’addio.

Avvolta nel nero dei suoi lunghi capelli e profonda di scuro negli occhi aveva varcato i mari con il suo carico di nostalgie e con la voglia di esplorare, di camminare nei sentieri che l’avrebbero condotta verso palcoscenici importanti a intonare emozioni e preghiere con la sua voce che sapeva di miele e di ruvido.

Una voce “pura”, come l’aveva definita lo scrittore Giuseppe Dessì, “che riempie da sola spazi profondi dove rivive la Sardegna al limite della preistoria. E quando tace riassorbe in sé questi spazi, questo tempo insondabile". 

Ennio Morricone ha protetto i suoi esordi, Franco Zeffirelli l’ha diretta nel Gesù di Nazareth e il suo volto intenso compare anche nel “Padrino” di Francis Ford Coppola.

Ha cantato l’Ave Maria in sardo a New York e le ninne nanne a San Francisco, l’hanno applaudita nei più prestigiosi teatri di Parigi, di Mosca e di Roma.

Ha recitato le “Memorie di Adriano” con Giorgio Albertazzi e la regia di Maurizio Scaparro.

In uno dei tanti viaggi in Sardegna si era fatta accompagnare da Amedeo Nazzari (suo testimone di nozze), con la speranza di realizzare un progetto ambizioso che non vide mai la luce: la costruzione di uno stabilimento cinematografico nel Sulcis, una sorta di Cinecittà, dalle parti di Nebida. 

Ha scritto “Canto rituale”, per rilegare le poesie cha amava comporre.

Il Presidente Francesco Cossiga l’ha nominata “Commendatore della Repubblica” nel 1991, per riconoscere a una donna libera i meriti di una carriera vivida.

Avrebbe voluto “salutare” il pubblico che l’aveva amata (e per lungo tempo anche distrattamente dimenticata!), calcando il palcoscenico di Sanremo per l’ultima volta, poco prima di morire.

Aveva una canzone bellissima da intonare: “Le memorie della musica”.

Non esaudirono il suo dichiarato desiderio.

Maria Carta è stata forza e bellezza, suono e memoria.

Ha portato la Sardegna e la sua cultura a competere con gli ascolti del mondo, a guadagnare il rispetto consapevole di un’identità espressiva che attraverso una lingua e un “sentire” parla con il cuore di un popolo e della sua terra. 

Maria Carta è stata l’istinto di un’arte che non si può ripetere, perché i grandi nascono e muoiono da soli e non lasciano eredi.