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Si sa che nella musica, come nella vita, uno su mille ce la fa. Quando Morandi incideva le parole di Franco Migliacci, traghettandole nell'immortalità, era il 1985 e Ilaria non era nemmeno nata. Ma una volta affacciatasi al mondo, nell'arco di pochissimi anni avrebbe metabolizzato alla grande il messaggio di quella canzone. Il successo è questione di talento naturale, certo, ma se non ci metti quel quid in più di tenacia, di costanza, di caparbietà, sei destinato a stare al palo. La nostra Ilaria Porceddu non ama i pali, preferisce i palcoscenici. È nata per la ribalta: datele un piano, un microfono per estendere la sua ugola incantevole, vedrete una donna felice e appagata. Stracontenta all'Ariston -dove lo scorso febbraio ha conquistato un meritatissimo secondo posto nella sezione giovani al Festival della Canzone Italiana- altrettanto euforica al Teatro CPM, periferia di Milano, dove in presenza di una platea più raccolta ha sfoderato tutta la sua bravura. Presentava il suo ultimo disco, In equilibrio, prima prova da cantautrice. Buona la prima, come si usa dire nel gergo dello spettacolo. Conosciamo il temperamento della ragazza: sappiamo che ci ha preso gusto, vuole continuare a sorprenderci. Nemmeno lei sa quanti conigli tirerà ancora fuori dal cappello. Quel che è certo è che saremo testimoni oculari della sua costante crescita artistica. Ben lieti di assistere alle evoluzioni di una ragazza che consideriamo speciale.
Qualche settimana fa a Cannes Jerry Lewis ha pronunciato una frase che ben si adatta a chi fa musica per mestiere. Il vecchio comico si è così espresso: «Bisogna trovare un senso al ritmo e un ritmo al senso»
Bellissima frase. Chissà se si riuscirà a trovarlo mai, sarebbe una fortuna. Però in un certo senso è proprio questa continua dinamicità a dare un senso alla mia vita e più in generale alla vita di tutti.
Sei molto affezionata alla musica di Fabrizio De Andrè. Le sue canzoni hanno accompagnato la tua vita, inoltre hai girato la Sardegna e l’Italia proponendo i suoi brani. Qual è la canzone di Faber a cui sei più legata?
Valzer per un amore è una delle mie preferite: quasi tutti i pezzi del mio ultimo disco seguono il tempo del valzer, in ¾ e 6/8. Dovrei citarti davvero tante sue composizioni, anche Preghiera a Gennaio la sento particolarmente mia.
Sempre a proposito del bardo di Genova, a chi rivolgi la tua smisurata preghiera?
In questo momento a ognuno di noi. Credo che tutti ne abbiamo un gran bisogno.
Ti è capitato in sorte di aprire i concerti di Gino Paoli. Sappiamo che ha un carattere abbastanza schivo, probabilmente non ti ha dato consigli.
Consigli devo dire di no e non ricordo che mi abbia mai detto brava. Però chiese al suo manager se sarei tornata la sera successiva ad aprire il suo concerto. Penso che questa sia una prova tangibile di stima nei miei riguardi.
In equilibrio si ispira a La strada di Fellini. Quanto c’è in te di Gelsomina e di Zampanò?
Mi identifico in Gelsomina come in Zampanò. Ma più in generale i personaggi felliniani hanno una malinconia circense che contraddistingue la vita di tutti noi. In comune con Gelsomina ho la voglia di evadere, il suo essere un po’ matta ma dolcissima. Forse Zampanò mi rappresenta un po’ meno, ma in fondo anche lui era un orso dolce.
A proposito di circo. Secondo te nel mondo della musica ci sono più ‘clown bianchi’ (severi, moralisti) o più ‘clown augusti’ (pasticcioni, sprovveduti) ?
In questo mestiere bisogna essere anche clown bianchi, essere rigorosi per poter fare tutto da soli. Alla base naturalmente deve esserci una vena di pazzia, che ti permette di costruire il prodotto artistico, ma è fondamentale essere anche razionali. Soprattutto in questa fase in cui non hai più alle spalle una squadra potentissima che gestisce tutto per te.
La generazione tra i venti e i trent’anni riesce a stare In equilibrio, seppur in maniera precaria?
In questo momento è davvero impegnativo trovare un equilibrio. Circensi che cercano di trovare se stessi, questa è la definizione che meglio di tutte sintetizza la nostra condizione. Questo equilibrio precario però è un’opportunità, ci farà capire davvero chi siamo.
Alcune tue composizioni pianistiche sono state utilizzate per l’installazione Tauromachia- da goya a Picasso a cura dell’artista Federico Paris. Possiamo dire che anche Sanremo, per te, è stata un po’ una tauromachia?
Verissimo, quel palcoscenico lo vivi come una lotta. È stata tosta, ma in queste situazioni si arriva con un lavoro alle spalle. Dopodiché Sanremo è Sanremo, si sa, fa tanta paura ma insieme ti dà una bella carica di adrenalina.
È nota la tua passione per le arti figurative. C’è un quadro che descrive la tua vita finora?
Le opere di Federico Paris. Avrei dato la stessa risposta anche prima che cominciasse la nostra collaborazione. Mi identifico nel suo Uomo Farfalla, che riesce a volare liberandosi della staticità.
Tra le tue passioni musicali anche Lucio Dalla. Possiamo dire che la Sardegna è il motore del Duemila?
Potrebbe esserlo, lo spero con tutto il cuore. Certo stiamo vivendo momenti difficili, ma c’è anche la forza, la cocciutaggine che ha sempre contraddistinto noi sardi.
Hai girato la Sardegna in lungo e in largo. Qual è il luogo che più di tutti ti mozza il fiato?
La strada che porta da Assemini a Gergei: si sentono gli odori di una Sardegna nascosta, selvaggia, primitiva.
Siamo a Milano, città in cui ti sei fatta apprezzare come concorrente di X Factor. Il primo impatto con la metropoli come è stato?
Devo dire che ho sempre avuto un ottimo rapporto con Milano. Certo il clima atmosferico non è dei miei preferiti, ma in compenso il clima di effervescenza culturale mi conquista.
Il milanese Jannacci diceva in una sua canzone: Il futuro? Sempre ammesso, sempre ammesso che c’è, è una storia che mi scrivo da me. Mi sembra che sia anche il riassunto della tua vita.
Assolutamente sì: ce lo scriviamo noi il nostro destino; tutto quello che facciamo nella nostra vita è conseguenza della nostra volontà di plasmarla in quel determinato modo.
Qualche anno fa hai giocato la carta della sensualità con un book fotografico nella rivista Maxim. A distanza di tempo, come ricordi quell’esperienza?
L’ho fatto e non lo rinnego perché mi sono divertita: ho scoperto una parte di me che non conoscevo. Adesso come adesso non lo rifarei ma il futuro, come dicevamo prima, è una storia che si scrive passo dopo passo. Oltretutto era un book in linea con la mia personalità, non c’era niente di volgare.
Movidindi è un singolo trascinante del disco. A chi è rivolto questo incitamento?
A tutte le donne del nostro Bel Paese. Movidindi è un inno all’emancipazione vera, alla libertà svincolata da tutti i legami di dipendenza.