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Nel 2019 il fenomeno dell'obiezione di coscienza alle interruzioni volontarie di gravidanza (ivg) ha riguardato il 67% dei ginecologi, il 43,5% degli anestesisti e il 37,6% del personale non medico, valori in diminuzione rispetto a quelli riportati per il 2018, con ampie variazioni regionali per tutte e tre le categorie. Il dato emerge dalla Relazione annuale del ministero della Salute - con i dati definitivi 2019 e preliminari 2020 - sull'attuazione della Legge194 sulle ivg, trasmessa al Parlamento lo scorso 30 luglio e pubblicata sul sito dello stesso ministero.
"L'analisi dei carichi di lavoro per ciascun ginecologo non obiettore - rileva il ministero - non sembra evidenziare particolari criticità nei servizi di ivg, a livello regionale o di singole strutture ospedaliere".
Anche per il 2019, inoltre, risulta prevalente il ricorso al consultorio familiare per il rilascio del documento/certificazione necessari alla richiesta di IVG (44,2%), rispetto agli altri servizi (medico di fiducia: 19,9%, servizio ostetrico-ginecologico: 33,4%).
La Relazione evidenzia come il ricorso all'aborto farmacologico varia molto tra le Regioni sia per quanto riguarda il numero di interventi sia per il numero di strutture che lo offrono. Il confronto nel tempo evidenzia un incremento continuo dell'uso del mifepristone e prostaglandine e l'utilizzo esteso ormai in tutte le Regioni. Sono infine in diminuzione i tempi di attesa, "pur persistendo una non trascurabile variabilità fra le Regioni", e si registra un aumento delle interruzioni entro le prime 8 settimane di gestazione, probabilmente, almeno in parte, dovuto all'aumento dell'utilizzo della tecnica farmacologica, che viene usata in epoca gestazionale precoce.