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Erano costretti a viaggiare ammassati nella stiva in 150, tra cui donne e bambini. Potevano uscire solo per i bisogni fisiologici e prendere una boccata di ossigeno. Poi, tutti dentro, come i topi. E senza cellulare, perché gli scafisti, prima di partire hanno avviato un arnese per spegnere tutti i telefoni nei dintorni.
In tanti erano costretti a viaggiare seduti sul gasolio provocandosi ustioni su tutto il corpo. Sono racconti dell'orrore quelli dei superstiti del naufragio dello scorso 26 febbraio davanti alle coste di Steccato di Cutro, nel crotonese. Pagine su pagine di verbali dove i sopravvissuti, tra le lacrime e ancora sotto choc, hanno raccontato a Polizia e Carabinieri, la traversata finita in tragedia con 64 morti finora accertati e decine di dispersi, tra cui un bimbo afgano di appena 5 anni che nella tragedia ha perso anche la mamma e due fratellini. Sono tre i presunti scafisti finiti in carcere, proprio grazie alle testimonianze coraggiose delle vittime. Un altro uomo è ricercato.
IL VIAGGIO - "Circa quattro ore prima dell'urto della barca, è sceso nella stiva uno dei due pakistani e ci ha detto che dopo tre ore saremmo arrivati a destinazione - dice un altro superstite - Lui si è ripresentato un'ora prima dello schianto dicendoci di prendere i bagagli e prepararci a scendere che eravamo quasi arrivati. All'improvviso il motore ha iniziato a fare fumo, c'era tanto fumo e puzza di olio bruciato". "La gente nella stiva iniziava a soffocare e a salire su - racconta ancora il superstite nei verbali- Ho fatto in tempo ad afferrare mio nipote e a salire in coperta dopo di che la barca si è spezzata e l'acqua ha iniziato a entrare. Quando sono salito, senza più riscendere, sotto c'erano circa 120 persone tra donne e bambini".
A quel punto, gli investigatori gli chiedono cosa hanno fatto gli scafisti. Ecco la risposta: "Ho visto che il siriano e due turchi hanno gonfiato un gommone e sono scappati. Non ho visto cosa ha fatto il turco con il tatuaggio sullo zigomo perché ho pensato di mettere in salvo mio nipote".
"Le condizioni del mare erano peggiorate tanto che (gli scafisti ndr) ci hanno permesso di lasciare la stiva e salire in coperta – racconta un altro superstite - Erano le 4 o le 5, ho potuto scorgere, quelle che dalla costa sembravano, delle segnalazioni luminose e i quattro (scafisti ndr) pensando che fossero poliziotti hanno fermato la navigazione cercando di cambiare rotta e modificare il punto di approdo". Forse è stato in quel momento che per errore sono finiti a tutto gas sulla secca.
Ed ecco il momento della tragedia: "La barca ha urtato contro qualcosa e ha iniziato a imbarcare acqua ed inclinarsi su un fianco. Ho visto che tre dei membri dell'equipaggio hanno buttato in mare un tender e sono saliti allontanandosi, mentre, ho perso di vista i due pakistani, perché per salvarmi mi sono subito tuffato in mare aggrappandomi ad un salvagente". "Nel momento in cui mi sono tuffato ci trovavamo a circa 200 metri dalla riva. Arrivato quasi a riva, ormai privo di forza, mi sono sentito prendere il braccio da un poliziotto che mi ha soccorso e portato in salvo sulla spiaggia. Una volta a terra il mio amico Yosuf mi ha riferito di avere visto due degli scafisti scappare verso il bosco". Tutti hanno pagato mediamente la somma di 8 mila euro al trafficante di esseri umani. I bambini piangevano".
GLI ACCORDI CON GLI SCAFISTI - "Ci avrebbero fatto sbarcare in sicurezza sulla terraferma in Italia e per tale necessità avrebbero atteso il giorno 26 febbraio, in quanto essendo domenica e le previsioni erano di mare mosso, sarebbe stato improbabile incontrare controlli di motovedette italiane", dice uno dei superstiti.
"Voglio sottolineare che quando l'imbarcazione è stata fermata, noi migranti ci siamo lamentati con loro perché impauriti dalle condizioni del mare. Volevamo che venissero già chiamati i soccorsi, ma gli stessi quattro componenti dell'equipaggio, per tranquillizzarci, ci hanno inizialmente mostrato l'ipad raffigurante la rotta e la distanza dalla nostra posizione fino alla terraferma, specificandoci che volevano fare trascorrere quelle ore per poterci sbarcare nel cuore della notte. Tutto questo per eludere i controlli di polizia- dice ancora il sopravvissuto - A questo punto ricordo di avere visionato il mio telefono ed erano le 21 del 25 febbraio. Ho anche compreso che quando i quattro parlavano tra loro avevano anche intenzione di volere riportare l'imbarcazione in Turchia. Abbiamo ripreso la navigazione e dopo circa sette ore siamo arrivati vicino la costa. Neanche in questa occasione nessuno, sebbene glielo avessimo richiesto, ha chiamato i soccorsi".