Il 10 giugno del 1924, il Partito Nazionale Fascista, appena uscito vincitore dalle elezioni politiche del 6 aprile, si presenta al Paese con tutte le sue credenziali dell’orrore, di sopraffazione e morte per gli oppositori politici.

E proprio in quella data, 96 anni a oggi, mette in atto un crimine che è un manifesto di lutto nazionale per tutti gli uomini liberi.  Ovvero, l’eliminazione fisica di un avversario politico che inneggia, in un crudo quanto accorato e circostanziato discorso-requisitoria alla Camera dei Deputati,  alla libertà di pensiero e di critica, denunciando apertamente di brogli elettorali e malaffare il nascente regime fascista.

E' il 30 maggio. "Io il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me", dice il deputato socialista Giacomo Matteotti ai suoi compagni di partito. Un presagio, funesto e tragico.  

Il 10 giugno è un martedì solo apparentemente normalissimo a Roma.  La giornata è calda, ma lo è ancora di più il clima che si respira nei palazzi della politica, dove, da qualche parte, la spietata macchinazione ai danni del parlamentare socialista sta per trovare il suo tragico esito.

Intorno alle 16:15, un commando di cinque uomini identificati come appartenenti alla polizia politica del partito fascista, costringono, durante una furiosa colluttazione, Giacomo Matteotti, che si sta dirigendo a piedi verso Montecitorio, a salire su una Lancia Kappa. All’interno della vettura, il deputato non si arrende e continua a lottare con quelli che da lì a poco saranno i suoi carnefici. Matteotti, colpito da una coltellata, crolla e il suo corpo, coperto da qualche cespuglio, è fatto sparire nelle campagne vicino a Roma.

La tragedia è consumata, ciò che è rimasto del deputato socialista sarà rinvenuto  solo il 16 agosto, due mesi dopo.

Il delitto Matteotti apre nel modo più abominevole e vigliacco, truce e sanguinario, una lunga e interminabile spirale di violenze che sarà resa ancora più agghiacciante, ove ciò fosse ancora possibile, dal punto di vista storico e morale, con le leggi disumane del 1926.

Con le quali il regime mette fuori legge, quasi a legittimarne la ferocia peraltro già in atto,  formalmente e ostentatamente,  ogni forma di opposizione politica, in termini di critica o dissenso.

Oltre alle violenze fisiche, anche il sentire comune è colpito a morte, in ogni dove. Il Paese è in ginocchio, mutilato dal punto di vista umano e democratico.

È anche il sentire di oggi,  purtroppo, di fronte alle violenze di qualsiasi natura che sono perpetrate dall’uomo verso l’altro uomo. Nonostante tutto, la fiducia nel genere umano non è a rischio, proprio  grazie ai Martiri della libertà che hanno sacrificato la vita per una società più libera e giusta, in grado di assicurare gli universali diritti dell’Uomo anche a chi li viola o cerca di farlo.

Qui di seguito,  riportiamo le parole, in lingua sarda, di un medico, Francesco Pes, che ha trasferito la sua sensibilità umana anche nel campo della poesia di cui è cultore e interprete.

Amigu caru de libertade astru e signore

su toccu in campanile sa vida supplicante

lentu in oras de dolu e dies de terrore

hat náu a tie de respínghere in s’istante

sa trista falche e dogni cáusa de dolore

ca de sa paghe est onore èsser curante.

In custu mundu revessu passet su ‘entu

non lasset de su male mancu ammentu.

 

Traduzione

 

Amico caro astro di libertà e signore

il rintocco nel campanile la vita supplicante

lento nelle ore dell’inganno e nei giorni del terrore

ha detto a te di respingere all’istante

l’idea della morte e ogni causa di dolore

perché è un onore esser della pace curante.

Passi il vento in questo mondo ostinato

e non lasci del male neanche il ricordo.