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L’articolo 13 della Costituzione italiana afferma che “la libertà personale è inviolabile”, dando forma e valore legale a un principio, meglio ancora un istinto, che l’essere umano porta in sé dal primo vagito. E così, fin dai popoli mesopotamici del II millennio a.C., son state messe a punto formule per garantire il rispetto delle nostre volontà quando noi non ne saremo più in grado. La più consolidata è il testamento, atto (revocabile e modificabile) in cui si dispone delle proprie volontà e patrimonio dopo la morte.
Accanto a questo, sentiamo sempre più spesso parlare di biotestamento: di cosa si tratta precisamente? Il biotestamento, detto anche testamento biologico o DAT (disposizioni anticipate di trattamento) è un atto scritto (con alcune eccezioni) attraverso il quale l'individuo -nel pieno possesso delle facoltà di intendere e di volere- può esprimere la propria volontà in merito a trattamenti sanitari che intende ricevere o rifiutare nei casi in cui non sia più in grado di prendere decisioni in maniera autonoma o nel caso in cui tali decisioni non possano essere espresse chiaramente a causa di una sopravvenuta incapacità.
In altre parole, il testamento raccoglie le decisioni per la morte, il biotestamento quelle per quando si è ancora in vita e ci si trovi ad affrontare malattie o condizioni irreversibili e invalidanti. La questione è regolamentata da una legge entrata in vigore il 31 gennaio 2018.
Nel testamento biologico è quindi possibile esprimere la propria volontà in merito a somministrazione di antidolorifici ed oppiacei, intubazione, sedazione profonda e rianimazione quando si è ancora lucidi e in grado di poter prendere simili decisioni, poiché questi trattamenti potrebbero rendersi necessari in situazioni nelle quali non è possibile ottenere indicazioni dal paziente.
Non è invece possibile dare l'assenso all'eutanasia, pratica -al momento- vietata in Italia.
Le volontà del biotestamento possono essere manifestate e redatte attraverso differenti modalità: atto pubblico notarile, scrittura privata autenticata (da funzionario pubblico designato o qualsiasi pubblico ufficiale, come un notaio), scrittura privata semplice consegnata personalmente all'Ufficio dello Stato Civile del Comune di residenza del redattore del biotestamento oppure, nelle regioni con apposita regolamentazione, con la compilazione di un modulo che verrà poi consegnato alle strutture sanitarie competenti.
Nel caso in cui la persona intenzionata a redigere il testamento biologico non sia in grado di redigere un testo scritto, la volontà potrà essere espressa anche attraverso una videoregistrazione.
Anche i cittadini italiani residenti all'estero possono redigere un testamento biologico, presso gli Uffici Consolari Italiani.
La questione e i relativi dibattiti sono andati crescendo con l’aumento della tecnologia medica e della sofisticazione dei trattamenti capaci di mantenere in vita situazioni critiche, sia pur con conseguenti e prolungati costi e sofferenze -fisiche e mentali- per malato e parenti, che fino ad allora prevedevano unicamente un rapido decesso.
Il primo ad affrontare il tema in pubblico fu Luis Kutner, avvocato dell'Illinois, con un discorso pubblicato in una rivista giuridica nel 1969 ed ispirato al diritto patrimoniale esistente circa le modalità con cui un individuo poteva disporre dei propri beni in caso di futura incapacità decisionale. Venne quindi ideato un modo per esprimere anche le proprie volontà in materia di assistenza sanitaria, da farsi quando ancora in vita. Pertanto, questa forma di "testamento" venne chiamata "testamento biologico".
In seguito al lavoro di Kutner e di successivi teorici, negli Stati Uniti entra in vigore -nel 1991- il Patient Self-Determination Act, dove si chiede agli operatori sanitari di fornire ai pazienti informazioni sul loro diritto di presentare direttive anticipate per i trattamenti da ricevere.
Nella legislazione italiana, per evitare confusioni, si parla di DAT, acronimo di Disposizioni Anticipate di Trattamento. La materia è regolamentata da una legge entrata in vigore il 31 gennaio 2018 ed articolata in sette punti:
1) Consenso informato. Nessun trattamento sanitario può essere intrapreso o proseguito senza il consenso libero e informato dell’interessato;
2) Accanimento terapeutico, sedazione profonda e abbandono cure. Il paziente ha il diritto all’abbandono delle terapie, evitando qualunque tipo di accanimento terapeutico. È altresì garantita la terapia del dolore fino alla sedazione profonda continuata, per evitare inutili sofferenze;
3) Nutrizione e idratazione artificiali, che possono essere rifiutate in qualsiasi momento;
4) Responsabilità del medico, esente da responsabilità civili o penali, quando dà seguito al rifiuto ai trattamenti da parte del paziente (sussiste la possibilità di dichiararsi obiettore di coscienza);
5) Minori e incapaci, nel cui caso il consenso informato è espresso da chi ha la responsabilità genitoriale, dal tutore o dall’amministratore di sostegno, previa adeguata informazione ai pazienti -minori o incapaci- stessi.
6) Dichiarazione anticipata di trattamento (Dat), contenente le volontà sui trattamenti da ricevere, vincolante per i medici, redigibile in forma scritta o -in caso di impossibilità- sotto forma di videoregistrazione;
7) Pianificazione condivisa, tra medico e paziente, delle cure in rapporto all’evoluzione di una malattia cronica. I trattamenti potranno essere modificati sia su suggerimento del medico che su richiesta del paziente.