Nelle indagini sugli autori della strage di Via D''Amelio c'è stato "uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana", con servitori infedeli dello Stato che convinsero piccoli criminali a trasformarsi in pentiti di Cosa nostra per costruire una falsa verità sull'attentato al giudice Paolo Borsellino. 

E quanto è emerso dalle motivazioni, depositate venti giorni fa, della sentenza della Corte d'assise di Caltanissetta che nell'aprile 2017 ha concluso l'ultimo processo sulla strage del 19 luglio1992. E le indagini continuano. Una certezza che, 26 anni dopo da un valore in più al giorno della memoria dell'eccidio di via D'Amelio.


La Corte d'Assise, nelle 1865 pagine critica il team cheindagò sulla strage sotto la guida di Arnaldo La Barbera, ilfunzionario di polizia morto per un tumore nel 2002. Inparticolare gli inquirenti avrebbero convinto il falso pentitoVincenzo Scarantino a fornire una versione distortadell'esecuzione dell'attentato e avrebbero messo in atto tuttauna serie di depistaggi. I magistrati avanzano anche ilsospetto che si sia voluta occultare la "responsabilità dialtri soggetti per la strage, nel quadro di una convergenza diinteressi tra Cosa nostra e altri centri di potere chepercepivano come un pericolo l'opera del magistrato". 

La Barbera, in particolare, sarebbe stato coinvolto nellasparizione dell'agenda rossa che Borsellino usava come diario eche teneva nella sua borsa il giorno dell'attentato. 

"PROCESSATE QUEI TRE POLIZIOTTI"

Le indagini, così, non si fermano. La procura di Caltanissettaha chiesto il processo di tre investigatori, quasi a cascatadal deposito delle motivazioni. Mario Bo, dirigente che facevaparte del pool che coordinò gli accertamenti sulla strage del
19 luglio del 1992, e gli assistenti Fabrizio Mattei e MicheleRibaudo sono i tre poliziotti che avrebbero depistato, secondoquanto ritenuto dalla Procura di Caltanissetta dopo anni diindagini, l'inchiesta sulla strage di via D'Amelio. Per tutti etre l'accusa è di calunnia aggravata. I tre avrebberoconfezionato una verità di comodo sulla fase preparatoriadell'attentato e costretto il falso pentito Vincenzo Scarantinoa fare nomi e cognomi di persone innocenti.

 

L'udienza preliminare contro di loro si terrà nei prossimi mesi. Ilpiano aveva un movente non definito, il presunto regista èormai morto: l'ex capo della task force investigativa ArnaldoLa Barbera, comprimari come Bo e "esecutori" come Ribaudo eMattei. Un piano costato la condanna all''ergastolo a setteinnocenti scagionati, una volta smascherate le menzogne, dalprocesso di revisione che si è celebrato a Catania. 

 

Nonostante la palese inattendibilità di Scarantino fosse emersa più volte nei processi, davanti a decine di magistrati, inquirenti e giudicanti, la condanna arrivò fino in fondo. Scarantino era stato protagonista di mille ritrattazioni anche in sedi giudiziarie, ma le sue accuse avevano retto fino allaCassazione. Erano stati ingiustamente condannati all''ergastoloSalvatore Profeta, Gaetano Scotto, Cosimo Vernengo, Natale Gambino, Giuseppe La Mattina, Gaetano Murana e Giuseppe Urso.


"INVESTIGATORI DEPISTARONO, PM NON CAPIRONO"

Il depistaggio dell''inchiesta sulla strage di via D'Amelio fuportato avanti grazie all'"attività degli investigatori cheesercitarono in modo distorto i loro poteri", secondo la corted'assise di Caltanissetta che parla, dunque, del "pilotaggio"delle dichiarazioni del falso pentito Vincenzo Scarantino,pressato perché' accusasse innocenti. Le sue scarse "capacita''di reazione" furono azzerate a suon di botte e con una sorta dilavaggio del cervello, grazie alla quale il falso pentito,
assieme a Francesco Andriotta e Salvatore Candura, altri falsipentiti, indirizzò le indagini sulla fase esecutivadell''attentato.

 

Furono messe a segno "una serie di forzature,tradottesi anche in indebite suggestioni e nell''agevolazione di una impropria circolarità tra i diversi contributidichiarativi, tutti radicalmente difformi dalla realtà se nonper la esposizione di un nucleo comune di informazioni delquale è rimasta occulta la vera fonte". In altre parole, gliinvestigatori avrebbero coordinato e reso sovrapponibili i varicontributi dei falsi collaboranti, segnati da "anomalienell''attività' di indagine", non rilevate però dagliinquirenti e dai giudicanti, nonostante, "nel corso della collaborazione dello Scarantino", ci fosse stata "una serie impressionante di incongruenze, oscillazioni e ritrattazioni".

 

I giudici danno atto della "ritrattazione della ritrattazione edi una nuova ritrattazione successiva alle dichiarazioni" di Gaspare Spatuzza, l'ex boss di Brancaccio, che avevadefinitivamente smentito Scarantino. Responsabilità di La Barbera sì, dei tre poliziotti Mario Bo, Salvatore Ribaudo eFabrizio Mattei pure, ma l'atteggiamento del falsopentito-picciotto della Guadagna e tutti i dubbi emersi su dilui "avrebbero logicamente consigliato un atteggiamento diparticolare cautela e rigore nella valutazione delle suedichiarazioni, con una minuziosa ricerca di tutti gli elementidi riscontro, positivi o negativi che fossero". Cosa che non fufatta, ne'' dai pm ne' dai giudici, fino in Cassazione.

 

Il pool inquirente era allora coordinato dal procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra, morto negli anni scorsi, dall'aggiunto Carmelo Petralia e dai sostituti Annamaria Palma, oggi avvocato generale (vice del Pg)a Palermo, e Nino Di Matteo, pi volte minacciato dalla mafia, pm del processo sulla trattativa Stato mafia e oggi in servizio alla Dna, a Roma.


LA FIGLIA FIAMMETTA, "GRAVI ANOMALIE SENZA RISPOSTE"

"Ho cercato di chiarire tutte quelle che sono state le anomalieche hanno caratterizzato le indagini e i processi su viaD'Amelio. Sicuramente la sentenza e le motivazioni hannoavvalorato quelle che sono che risulta dal Borsellino Quater.
Da parte della famiglia non ci sono giudizi ma semplicementeuna analisi e un racconto dei fatti": lo ha detto FiammettaBorsellino, ieri sentita in Commissione antimafia dell''Ars.  

"Parliamo di fatti accertati processualmente - ha aggiunto -non quindi una questione personale. Ma di fronte a talianomalie non si poteva stare zitti e fare a meno di chiederedelle spiegazioni. Sono tanti perché che fino ad oggi nonhanno avuto risposta, e fino a quando non arriveranno noicontinueremo a chiedere in modo martellante il perché questerisposte non vengono date. Ci sono tante persone che devonodare spiegazioni delle procedere, di quello che è stato fattoe di quello che non è stato fatto o di come non è statofatto. Se c’è un procura che ha lavorato in un momento in cuisono state fatte certe cose e queste è risultato che sonostate fatte, purtroppo, male o addirittura non fatte, è giusto che quelle persone rendano conto di tutto questo. Io lo trovoassolutamente normale e degno di un Paese degno di questonome". E ancora: "Nessuno delle persone direttamente
interessate ci ha mai dato spiegazioni. Io penso che questerisposte si debbano non soltanto a noi ma al popolo italiano.Dopo 26 anni, "parlare di depistaggi, anomalie, di tempoirrimediabilmente perso, è un fallimento per il Paese, pertutti, è qualcosa che si commenta da sola.

 

Non è una vittoriaper nessuno. Il depistaggio inizia nel 1992 perché fattiemblematici lo evidenziano. Via D''Amelio viene trattata comeuna piazza nella quale potesse passare una mandria di bufali,cancellando tutti quegli elementi di importanza investigativagià allora si forma un gruppo di indagine un po'' anomaloperché vengono dati super poteri a un poliziotto, Arnaldo LaBarbera, che era anche stipendiato del Sisde; perché sicomincia a gestire, da parte del gruppo Falcone-Borsellino, unfalso pentito, dando a questo gruppo dei poteri esclusivi esganciando la gestione di Scarantino dal controllo del Serviziocentrale di protezione. Perché già allora si forma unaprocura di persone di certo non eccellevano per la loroesperienza nel campo dei reati di mafia. Erano giudici giovani,come si sono definiti alle prime armi, esattamente quello cheun eccidio di tale portata non meritava".