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Chi rifiuta di vaccinarsi contro il Covid rischia la sospensione dal lavoro e di rimanere quindi a casa senza retribuzione. Sembra essere ormai questo l'orientamento, a giudicare dalla decisione del tribunale di Roma che ha dato ragione a un’azienda che ha congelato il rapporto di lavoro di una donna restia a fare la vaccinazione si legge su laleggepertutti.it. L’orientamento dei giudici capitolini è quello già espresso in passato dai colleghi di altre città: se un datore di lavoro lascia a casa senza retribuzione un dipendente che non vuole vaccinarsi, non si tratta di una sorta di ritorsione o, come sosteneva la lavoratrice romana, di un provvedimento disciplinare adottato per il solo fatto di avere rifiutato il siero contro il coronavirus. Si tratta – insiste il tribunale – di una misura che si rende necessaria quando non ci sono altre mansioni a cui destinare un lavoratore che non vuole vaccinarsi e che, non risultando dalla visita medica aziendale «idoneo a stare a contatto con la clientela», deve per forza rimanere a casa. Logicamente, non prestando alcuna attività lavorativa, non ha diritto allo stipendio.
Un comportamento "doveroso", dunque, quello del datore di lavoro che agisce in questo modo, "stante la parziale inidoneità alle mansioni", si legge nella sentenza. Anzi: il titolare dell’azienda "è obbligato a sospendere in via momentanea il dipendente dalle mansioni a cui è addetto, ai sensi dell’art. 2087 del Codice civile". Articolo che dice: l’imprenditore è tenuto "ad adottare tutte quelle misure di prevenzione e protezione che sono necessarie a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori". Per il tribunale, in questo concetto rientra il potenziale rischio di contagio rappresentato da chi rifiuta il vaccino.
Non solo: il Testo unico sulla Sicurezza pone in capo al lavoratore delle responsabilità ben precise in questa materia. Si legge: "Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro". In sintesi: se il lavoratore non vuole vaccinarsi ma pretende di lavorare, viola il principio stabilito dal Testo unico sulla Sicurezza. Di conseguenza, il datore è tenuto a sospenderlo dall’attività. E, come ricorda la sentenza capitolina richiamando la giurisprudenza in merito, "se le prestazioni lavorative vengono vietate dalle prescrizioni del medico competente con conseguente legittimità del rifiuto del datore di lavoro di ricevere, lo stesso datore di lavoro non è tenuto al pagamento della retribuzione".
Recentemente, anche il tribunale di Modena si è espresso in questa direzione citando la direttiva europea che, nel giugno 2020, ha incluso il Covid tra gli agenti biologici contro i quali è necessario tutelare gli ambienti di lavoro. Da qui – sostiene il giudice emiliano – il dovere che incombe sul datore di tutelare il personale anche dal rischio coronavirus, contro il quale la mascherina non basta come misura di protezione. In altre parole: chi è a contatto con il pubblico o lavora in spazi ridotti accanto ai colleghi può essere sospeso dal lavoro e dalla retribuzione in caso di mancata vaccinazione, poiché – conclude il tribunale modenese – il diritto alla libertà di autodeterminazione deve essere bilanciato con altri diritti costituzionali come quello alla salute degli altri (clienti, dipendenti, collaboratori) e con il principio di libera iniziativa economica.