Il fatto che oggi la comunicazione sia molto più veloce e diretta rispetto a prima non significa, come ben sappiamo, che sia anche più efficace o che escluda un impegno di responsabilità. 

I social network ci permettono sì di essere sempre in contatto con tutti, di condividere idee e di cercare informazioni, ma sono anche dei contenitori che inglobano rischi e conseguenze.

“Al giorno d'oggi – commenta l’avvocato Elisabetta Magrini, che si occupa sia di diritto civile che di diritto penale - tutti noi abbiamo un profilo social. Che sia Facebook, Instagram, TikTok, LinkedIn poco importa ormai siamo sempre super connessi. Questo implica che spesso intavoliamo "discorsi" con altri utenti spaziando dalle semplici chiacchiere ad argomenti più seri. Qualcuno a volte si lascia anche andare e posta contenuti o commenti offensivi, pensando di non provocare conseguenze in quanto nascosto dietro uno schermo. Tuttavia, non è proprio così”. Il legale mette in guardia e spiega che quando si decide di pubblicare contenuti offensivi si rischia di incorrere nel reato di diffamazione aggravata.

“Il reato è previsto dall'articolo 595, comma 3 del Codice Penale, ed è punibile con la reclusione da 6 mesi ai 3 anni e con la multa minima di 516 euro – dice subito Elisabetta Magrini -. La legge italiana dispone, inoltre, che anche chi posta un messaggio offensivo su un gruppo limitato di persone è punibile”.

L’avvocato fa anche degli esempi di chi può essere accusato di diffamazione aggravata per essere ancora più chiara: “L'individuo che condivide un post visibile a tutti i suoi contatti diffamando o offendendo l'ex accusandolo di non contribuire al mantenimento dei figli; La moglie separata che sui social insulta l'ex marito diffamandolo; Risulta altrettanto colpevole l'individuo che posta contenuti inerenti a questioni politiche, sindacali insultando tali figure in seguito ad esempio ad una strage; È passibile di querela anche colui che diffama sul web un giornalista, per il suo patrimonio culturale, credo politico o religioso”.

“Un caso diverso – precisa, infine, Elisabetta Magrini - è quello che si configura quando si "ruba" l'immagine di una persona per creare una falsa identità digitale associata a un nickname di fantasia e da li si fanno partire altre offese. In questo caso il reato che si configura è quello di sostituzione di persona, insieme a quello di diffamazione aggravata”.