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Salvo proroghe, allo stato, il 31 marzo terminerà il blocco dei licenziamenti economici (i licenziamenti collettivi e quelli per giustificato motivo oggettivo) così come indicato nella legge di Bilancio 2021. L’Aidp - l’associazione dei direttori del personale - ha lanciato in questi giorni un’indagine interna tra i propri associati, per fare il punto previsionale su cosa accadrà allo scadere di tale data ma anche sul tema della licenziabilità, come estrema ratio, dei dipendenti che rifiuteranno il vaccino (non obbligatorio per legge). I risultati dell’indagine evidenziano un quadro in chiaro-scuro.
Il 20% dei rispondenti ha infatti dichiarato che darà seguito ai licenziamenti previsti, il 24% circa non ha ancora maturato una decisione e una parte di loro ha dichiarato che dipende anche da eventuali misure a sostegno che verranno prese. Il 9% proseguirà con la cassa integrazione mentre il 53,5% non ha in previsione nessun licenziamento.
La leva del costo del lavoro è decisiva. Tra le misure a sostegno delle imprese ritenute più utili per il sostegno all’occupazione e per mantenere i livelli occupazionali, circa l’82% dei rispondenti (nota: erano possibili risposte multiple) ha indicato le misure di natura fiscale e previdenziale volte a ridurre il costo del lavoro. Per il 48,50% la conferma della deroga dei contratti a termine acausali e per il 41,34% gli incentivi alle assunzioni per categorie di lavoratori (giovani, donne, disoccupati). Da notare che il 20% circa ha chiesto la proroga del cassa integrazione Covid e 22% la riforma dei centri per l’impiego. Oltre il 30%, infine, il potenziamento del contratto di espansione o di altre forme di incentivo ai prepensionamenti.
Se il dipendente rifiuta la vaccinazione, solo il 2,72% del campione ha risposto che sta studiando la possibilità del licenziamento. Per la maggioranza dei casi prevale la prudenza. Il 40% dichiara che non ci ha ancora pensato mentre il 37% circa pensa di aumentare la comunicazione e l’informazione sanitaria per incentivare la vaccinazione. Il 9%, invece, se il ruolo e la mansione lo consentiranno metteranno in smart working il dipendente. Il 3,5% pensa a provvedimenti di natura disciplinare mentre per l’8,5% il rifiuto alla vaccinazione non sarà un problema perché si continuerà con le misure di tutela sanitaria già in essere. “Com’è facile profetizzare, alla fine del blocco dei licenziamenti, all’ultima data stabilita od altra successiva da definirsi eventualmente, l’argine normativo verrà meno e assisteremo ad un numero significativo di licenziamenti economici", spiega Isabella Covili Faggioli, presidente Aidp.
"Dalla nostra indagine -continua- emerge un dato che potremmo definire ovvio. Una parte significativa delle nostre aziende sarà costretta ad avviare piani di ristrutturazione, soprattutto nei settori più colpiti dalle conseguenze dell’emergenza pandemica, tenuto conto del calo del Pil nel 2020 di circa il 9 per cento! Permane, tuttavia, un’ampia fascia di incertezza sul da farsi e qui, probabilmente, molto dipenderà anche dalle scelte di politiche del lavoro e politiche economiche che il nuovo Governo metterà in campo. Prima fra tutte segnaliamo il costo del lavoro come leva strategica unito ad una profonda riforma, non più rinviabile, delle politiche attive".
"L’altra faccia della medaglia del licenziamento legato all’emergenza Covid -prosegue la presidente Aidp- è la licenziabilità dei dipendenti che non vorranno vaccinarsi stante la non obbligatorietà per legge. La questione al momento è molto dibattuta tra i giuslavoristi e non è emersa una linea univoca, e tuttavia, vorrei sottolineare la posizione dei direttori del personale che di fronte una scelta così difficile e complessa fanno prevalere la prudenza e l’attenzione alle persone propendendo per l’utilizzo di strumenti alternativi e persuasivi come campagne di informazione e comunicazione sui vaccini, il ricorso allo smart working laddove possibile, questo per evitare soluzioni traumatiche come il licenziamento", conclude.