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La famiglia omogenitoriale è davvero così tanto lontana da quella composta da due genitori di sesso diverso? Anche se la nostra società continua a fare passi avanti in questo senso, molto spesso, quando si sente parlare di famiglie arcobaleno, si dà inizio ad uno scambio di opinioni fondate per lo più, su pregiudizi e idee distorte. Convinzioni legate al codice del “politicamente corretto” di chi ignora che le famiglie strutturate in maniera diversa esistono e sono anche quelle multietniche, quelle allargate, adottive, unipersonali o monogenitoriali.
Pertanto, è la stessa realtà che viviamo ogni giorno a suggerirci che tutti abbiamo il diritto di amare chi vogliamo. Il tema delle famiglie arcobaleno in Italia è sfuggente e controverso. Da una parte è inevitabile scontrarsi con l’onnipresente pregiudizio di stampo religioso e socio-culturale del nostro Paese, dall’altra c’è, invece, una volontà evidente di “normalizzare” il concetto di famiglia omogenitoriale, ostacolato in gran parte, dall’enorme vuoto normativo che gravita intorno alle questioni LGBTQ+. A farne le spese, neanche a dirlo, sono i bambini i cui genitori omosessuali devono destreggiarsi tra leggi e tribunali, solo per riconoscere ‘figlio’ il proprio figlio.
Ma la famosa domanda che sorge spontanea è: quando si parla di diritti dei minori, i figli delle famiglie arcobaleno non hanno, forse, il diritto (appunto) di essere considerati come i bimbi nati nelle famiglie “tradizionali”?
Noi vogliamo raccontarvi l’amore di due giovani donne: Chiara e Arianna. Si sono incontrate, si sono scelte e, nonostante le difficoltà, sono riuscite a creare una famiglia all’insegna del rispetto e dell’accoglienza dell’altro. Chiara Centenari è un medico pediatra, Arianna Raneri è un’informatrice scientifica. Vivono a San Giuliano Terme, un paese in provincia di Pisa e sono le protagoniste di una storia autentica, un amore di quelli che regalano speranza, sono semplici e sanno di bello. Si vedono, per la prima volta, ad una festa di amici e da quel giorno non si sono più lasciate.
Sono passati 10 anni.
Nel 2015, durante le riprese di Real Time (il canale Tv che ha raccontato quel periodo della loro vita) nell’ospedale dove lavora, Chiara dà alla luce la piccola Livia. E, due anni dopo, nel luglio del 2017 arriva anche la sorellina Anna, nata da mamma Arianna. Entrambe le gravidanze sono state realizzate in Spagna con la procreazione assistita utilizzando il seme dello stesso donatore che, come anche in Italia, rimane anonimo.
Noi abbiamo incontrato Chiara.
Ciao Chiara, grazie per essere qui con noi. Qual è la cosa più difficile che hai affrontato prima e dopo il coming out come omosessuale?
“Ciao e grazie a voi. Prima del coming out la cosa più difficile è affrontare se stessi e la propria omofobia. Dirlo in famiglia e parlare con i genitori, trovare il coraggio di scegliere di vivere la propria omosessualità liberamente e ascoltare ciò che ci rende realmente felici. Io ho capito che potevo essere felice solo essendo me stessa. Dopo il coming out, invece, ho dovuto far fronte a tutte quelle situazioni di stigma quotidiano date spesso dall’ignoranza di certe persone, nonché a quei luoghi comuni gravati dall’omonegatività che sminuiscono le persone omosessuali. Anche se fortunatamente, non è una cosa molto frequente, succede di avere questo ‘stress delle minoranze’ ”.
A un certo punto della tua vita però arriva qualcosa di molto bello, e conosci Arianna. Ci racconti un po’ di voi?
“Ci siamo conosciute ad una festa di amici nel 2013. È stato un colpo di fulmine tanto che, poco tempo dopo, ci siamo fidanzate. Poi, nel 2017, quando l’unione civile tra omosessuale è diventata possibile, proprio mentre mia moglie Arianna stava per mettere al mondo nostra figlia Anna, ci siamo sposate. Anche se all’inizio non sono mancati i piccoli-grandi ostacoli ce l’abbiamo fatta, soprattutto grazie all’aiuto delle nostre rispettive famiglie, che dopo i primi momenti di perplessità (per quanto si possa avere una mentalità aperta, alcune volte per un genitore non è semplice accettare l’omosessualità del proprio figlio), hanno accolto la nostra vera essenza, lasciandoci libere di vivere quell’amore incondizionato che non dovrebbe essere giustificato o spiegato a nessuno”.
Poi, avete deciso di avere una famiglia tutta vostra…
“Si, prima però abbiamo fatto un percorso personale. Essere omosessuali e genitori, all’inizio per noi non era proprio un concetto scontato, era semplicemente una nuova realtà alla quale stavamo pensando perché entrambe sentivamo forte il desiderio di maternità. Un desiderio umano, non presente in tutte le donne, ma per noi era un sogno che avremmo voluto realizzare, perciò abbiamo iniziato a raccogliere informazioni. Alcune mamme dei miei piccoli pazienti che hanno avuto un percorso di procreazione medica assistita all’estero e, hanno poi partorito in Italia, ci hanno aiutato a capire l’iter da seguire. Molte famiglie arcobaleno hanno contribuito, poi, a chiarire tutti i nostri dubbi sull’incompatibilità di essere omosessuali e genitori. Io come medico pediatra ho studiato a lungo il benessere psicologico dei bambini cresciuti in famiglie con due mamme e, anche questo, mi ha aiutato a non avere più remore”.
Mi confermi, quindi, che non ci sono differenze rispetto ai bambini cresciuti con due papà o con un papà e una mamma? Secondo una ricerca pubblicata da BMJ Global Health: “i figli cresciuti in famiglie omogenitoriali o non binarie non mostrano deficit dello sviluppo o disturbi psicologici rispetto a quelli cresciuti in famiglie ‘tradizionali’”
“Certo, ormai ci sono 40 anni di studi e ricerche varie, c’è un consensus internazionale che questi bambini hanno una previsione di crescita equiparabile a quelli nati da genitori eterosessuali. Non è l’orientamento sessuale dei genitori ad influire sul benessere dei figli, bensì la capacità di funzionare come genitori, appunto. È un concetto che molti non hanno ancora ben chiaro purtroppo, però il ruolo del genitore è stato superato dal concetto di ‘funzione’ del genitore. Perché i figli sono di chi li cura e li ama con tutto l’affetto possibile, ed è proprio con questa consapevolezza che siamo andate in Spagna per seguire il nostro desiderio di famiglia, dato che in Italia per la legge 40, le donne single o le coppie di donne non possono accedere alla procreazione assistita”.
Adesso siete mamme di due bellissime bambine. Avete mai subìto atteggiamenti omofobi per aver realizzato il vostro sogno di essere famiglia?
Il primo atteggiamento omofobo è quello dello Stato italiano che, con tutte le sue inaccettabili limitazioni, ci impone la mancanza di un riconoscimento legale. Prima non potevamo nemmeno unirci civilmente, ora mancano le leggi per il riconoscimento della genitorialità omosessuale. È come se in Italia fossimo invisibili agli occhi della legge. Ma nella vita di tutti i giorni siamo perfettamente integrate nella realtà scolastica e sociale del paese dove viviamo. Sia io che Arianna abbiamo carriere lavorative affermate e non abbiamo mai avuto nessun tipo di problema. Tuttavia, una volta che ci siamo esposte pubblicamente, i commenti negativi sui social non si sono fatti attendere, questo si. C’è una parte della società che comunque non ci reputa adeguate”.
Si, ma sono certa che anche questo scomparirà presto
“Speriamo, il nostro renderci visibile è anche per far capire e conoscere queste realtà, perché forse quei pensieri sono solo dei pregiudizi legati alla non conoscenza”.
Com’è il vostro rapporto con gli altri genitori e le maestre, per esempio?
“È un buon rapporto, mia moglie Arianna è anche rappresentante di classe di Livia. Abbiamo sempre fatto dei colloqui preventivi con le maestre prima dell’inizio della scuola, ma non sono mai mancati ascolto e accoglienza”.
Attualmente come si tutelano i diritti dei bambini nati nelle famiglie arcobaleno in Italia?
“Non c’è una legge che riconosca il genitore intenzionale. È riconosciuta solo la mamma che partorisce, mentre l’altro genitore, anche se ha firmato il consenso informato all’inseminazione della moglie durante il percorso di procreazione assistita, avvenuto inevitabilmente all’estero, non ha gli stessi diritti di una coppia uomo-donna che, in Italia, fa l’inseminazione eterologa. Per la nostra seconda figlia, io ho firmato affinché mia moglie ricevesse il seme del donatore; in Italia se io fossi stato un uomo, questo sarebbe bastato (e basta tutt’oggi) per essere il padre a tutti gli effetti del futuro bimbo, nonostante l’assenza del legame biologico. Però, anche se io ho tutti i documenti firmati in Spagna, non sono riconosciuta come genitore di Anna perché, per lo Stato italiano il secondo genitore non esiste, sebbene abbia partecipato al progetto genitoriale fin dall’inizio. Ad oggi, l’unica possibilità è quella dell’adozione speciale: una richiesta al tribunale dei minori, quindi un percorso giudiziario con il coinvolgimento di assistenti sociali e psicologi, i quali devono accertarsi che ci sia un vero legame tra adottato e adottante e, dopo aver verificato la presenza di un giusto contesto per il benessere del bambino, in tempi variabili (ci sono famiglie che hanno aspettato anche 5 anni) viene concessa l’adozione speciale".
Avete già affrontato l’argomento “papà” con le bambine?
“Sì, certo. Livia, per esempio, è stata molto precoce a parlare perciò già a due anni, mentre le stavo cambiano il pannolino sul fasciatoio e lei giocava con Peppa Pig e papà Pig, mi ha chiesto: ”ma dov’è il mio babbo?” Le ho risposto: “Nella nostra famiglia non c’è un papà, semplicemente perché tu hai due mamme. Ci sono diversi tipi di famiglia e la nostra è così perché io non amo un uomo, ma amo la mamma”. Lei ha genuinamente risposto: “Ah, va bene!”. Naturalmente le spiegazioni vanno date in base alle capacità di comprensione dei bambini, quindi in seguito, abbiamo chiarito meglio il modo in cui sono nate. Livia e Anna sanno che noi siamo andate in Spagna e abbiamo usato il seme di un donatore, lo stesso per entrambe. Chiamiamo tranquillamente questa persona “donatore” perché, per noi, il termine ‘babbo’ ha una connotazione diversa. È colui che ti cresce con amore e che ti sta vicino tutti i giorni. E loro sono a conoscenza del fatto che questo donatore è anonimo. Per aiutarle a capire meglio e a vedere tutto con naturalezza e serenità, abbiamo creato per loro un libricino illustrato sulla nostra storia. Anche se adesso, per fortuna, ci sono tanti libri che raccontano la famiglia omogenitoriale, noi abbiamo il nostro libricino personalizzato. Entrambe le nostre bimbe sono in grado di spiegare ai compagni di scuola, per esempio, la storia dei semini del donatore che si sono incontrati nella pancia delle mamme etc. Hanno la consapevolezza di tutto”.
Quando tornate a casa la sera, vi ritrovate tutte insieme e…
“È sempre il caos! Soprattutto perché quattro donne insieme vogliono parlare contemporaneamente! A tavola c’è sempre il bicchiere d’acqua che inevitabilmente cade sulla tovaglia, le bambine che vogliono prendere la parola l’una al posto dell’altra. E poi, ci siamo noi, che non riusciamo mai a fare un discorso tranquillo e a parlare della nostra giornata perché, giocoforza, veniamo “catturate” dalla vivacità e dall’entusiasmo travolgente della loro età. Ma credo che sia assolutamente normale in tutte le famiglie, anche perché non lasciamo mai la tv accesa quando ceniamo e non permettiamo alle bambine di usare cellulari o tablet. Privilegiamo questo rapporto personale che però è un po’ burrascoso”.
La nascita delle vostre figlie ha cambiato la coppia?
“Certamente! Sfido chiunque a dire che la coppia non cambia quando arriva un bambino (ride). Alla nascita della prima figlia è cambiata in un modo e, con l’arrivo della seconda, in un altro modo. Poi, abbiamo avuto due gravidanze molto ravvicinate, pertanto l’aiuto dei nonni e l’accesso ai nidi d’infanzia sono stati, per noi, fondamentali poiché entrambe lavoriamo a tempo pieno. Tra l’altro, la prima bimba dormiva poco e quando era piccolissima abbiamo perso anche il sonno”
Una mia curiosità: chi è più severa di voi due?
“Penso io, le metto in punizione e tolgo loro la cioccolata! Diciamo che faccio finta di essere quella più autoritaria”(ride)
Quindi le vizia di più Arianna?
“No, sono i nonni a viziarle! Noi cerchiamo di non farlo o almeno ci proviamo”
Cosa diresti a chi, ancora, sostiene che un bambino deve crescere con una mamma e con un papà?
“Direi che, se a tutti i bambini bastasse avere una mamma e un papà per essere felici, sia io che Arianna ci metteremmo la firma subito, ma purtroppo non è così. La vita di tutti i giorni e gli studi di decenni dimostrano il contrario. Per un bambino è importante avere adulti di riferimento in grado di essere una guida nel corso della loro crescita e, di infondergli quella sicurezza e quella serenità di cui hanno bisogno per sentirsi liberi di essere sempre se stessi. Famiglia è dove ti senti amato. Dove ti senti a casa. È il tuo rifugio dalle brutture del mondo.”