È risaputo che la  crisi tra Russia e Ucraina non è scoppiata all’improvviso, ma è la conseguenza di un contrasto lungo otto anni, da quando dopo la Rivoluzione di Euromaidan, Mosca ha invaso la penisola di Crimea e sostenuto i movimenti separatisti del  Donbass, in Ucraina orientale. Quando Vladimir Putin, all’alba dello scorso 24 febbraio, ha iniziato la sua offensiva contro l’Ucraina probabilmente era quasi certo di concludere l’“operazione per denazificare l’Ucraina” in brevissimo tempo, ma non è stato così.

Sardegna Live ha incontrato il giornalista, analista scrittore e dottore in Relazioni Internazionali, Domenico Modola.

Qual è il vero obiettivo di Putin e perché ha definito il suo attacco “operazione per denazificare l’Ucraina?

"L’obiettivo di Putin è ad  ampio raggio. L’espansione della Russia come sfera di influenza, non solo come espansione territoriale, è un obiettivo  custodito  già  ai tempi della sua formazione come agente del KGB, quasi  una sorta di suo sogno nel cassetto. Se, poi parliamo di motivi storici “nostalgici” che legherebbero la Russia all’Ucraina, secondo la visione di Putin si devono considerare le radici storiche della fondazione della Russia che meriterebbero un capitolo a parte. Quando parla di “operazione per denazificare l’Ucraina” fa riferimento, a mio avviso, ai gruppi nazionalisti che stanno agendo nelle Repubbliche autoproclamate. Nel momento in cui le due Repubbliche si sono staccate virtualmente dall’Ucraina c’è stato un movimento nazionalista e potremmo dire anche nazista, che naturalmente non risponde a quelle che sono le istanze ucraine essendo una fazione politica a parte, queste fazioni hanno poi dato vita a uno scontro che in quelle regioni dura da 8 anni".

C’è il rischio concreto di una guerra nucleare?

"Io mi sento di escluderlo perché gli Stati in generale hanno molta paura di un conflitto nucleare e lo dimostra il ridimensionamento di quelle che sono state le condizioni sia degli Sati europei che della stessa Nato. In un primo momento hanno sistemato le truppe a ridosso dei confini, poi in realtà si è optato per delle sanzioni economiche proprio per evitare uno scontro che potrebbe avere conseguenze devastanti sotto ogni punto di vista".

Pensa che sarà possibile un eventuale coinvolgimento della Cina?

"La Cina guarda, monitora e valuta. Tuttavia non dovrebbe entrare nel conflitto per due motivi principali: il primo è ovviamente economico perché la Repubblica Popolare Cinese è la potenza in maggiore ascesa a livello internazionale sotto il profilo economico, ma anche dal punto di vista geopolitico. È uno degli stati più prolifici dal punto di vista della realizzazione infrastrutturale in più parti del mondo e ha interessi molto forti, una guerra su larga scala darebbe origine a non pochi problemi all’esportazione,  ai traffici, agli affari etc. Il secondo motivo è strettamente militare:  la Cina è un Paese che conta più di un miliardo di persone, ma ha un esercito che, se paragonato appunto  al numero di abitanti,  è piuttosto esiguo. Stanno facendo grandi sforzi per lo sviluppo dell’esercito, delle flotte navali, ma al momento non c’è ancora  quel requisito fondamentale per ritenere l’esercito cinese in grado di dominare su uno scacchiere mondiale".

E in tutto questo l’Europa?

"In tutto questo l’Europa ha un ruolo molto importante e scomodo al tempo stesso.  Sono molti i paesi che potrebbero essere i prossimi obiettivi di Putin,  è solo un’ipotesi, non c’è nulla di dichiarato da parte sua, ma in alcuni Stati il sospetto è palpabile e l’Europa si sta adeguando a questa prospettiva. Le faccio un esempio: nei paesi baltici la preoccupazione per l’inasprirsi delle violenze russe è molto sentita e non solo per la vicinanza ai confini della stessa Russia e Bielorussia; gli estoni, i lituani e i lettoni hanno ancora il ricordo del controllo sovietico nel periodo dell’immediato dopoguerra e, anche se in modalità diverse, temono il ritorno di quelle persecuzioni. Per quanto riguarda l’Europa centrale, si sta muovendo tutto sulla base delle sanzioni economiche ed il rifornimento delle armi a truppe e milizie ucraine; l’intervento militare è assolutamente da escludere".

Pensa che quella di Putin sia una sfida alle democrazie?

"Credo che non esista una risposta oggettiva. Penso che quella di Putin sia una sfida alla sovranità più che altro, quella del territorio ucraino. Se consideriamo l’attacco una sfida alle democrazie dovremmo anche considerare come, queste democrazie si sono rapportate con Mosca in questi ultimi 30 anni, quindi tenendo presente entrambe le percezioni. La NATO è una realtà con scopi prevalentemente militari, ed è un’alleanza sorta in chiave anti-sovietica. Con la fine dell’URSS, si era stabilito che determinati stati avrebbero costituito la zona cuscinetto tra l’area di influenza russa e quella dell’Alleanza Atlantica. Poi quell’area, dal punto di vista russo, è andata assottigliandosi, questo è stato percepito come una minaccia per i russi.. Tutto questo, unito alle mire nostalgiche di Putin, ci fornisce le cause recondite del conflitto attuale".

Esiste il rischio di un’escalation mondiale?

"Escludo una ripercussione su scala mondiale sotto tutti i punti di vista, sia militare che politico.  Nella peggiore delle ipotesi ossia che Putin riesca a conquistare l’Ucraina, io credo che  tutto si “risolverebbe” con una sorta di governo fantoccio bielorusso, sanzioni economiche per la Russia da parte della Nato e dell’Europa".

Quali le sue impressioni alla luce dell’ultimo negoziato Ucraina Russia?

"I negoziati, giunti al secondo incontro non sono ancora finiti. È previsto un terzo incontro e non escluderei anche altri momenti. Per il momento, il risultato raggiunto è buono dal punto di vista umanitario, dato che si è raggiunto l’accordo per il cessate un cessate il fuoco utile a garantire l’approvvigionamento, il soccorso e la fuga dei cittadini ucraini. A parte questo, le posizioni sembrano essere ben lontane dal venirsi incontro. Ritengo che la Russia corra il rischio di “impantanarsi” in Ucraina, incorrendo cioè, in un conflitto di durata ben più lunga del previsto, con tutte le conseguenze del caso (anche sul piano logistico ad esempio: carburante, rifornimenti, tutto previsto per un conflitto breve, ma che sta già andando oltre). Per questo il fattore tempo sarà determinante per Mosca. Prima di sedersi nuovamente al tavolo delle trattative, i diplomatici russi sperano di avere qualcosa per mettere l’Ucraina davanti al fatto compiuto. Concretamente è prevedibile che, per porre fine alle ostilità, la Russia potrebbe “accontentarsi” di prendere le principali città in cui sta attaccando: Kiev, Kharkiv, Mariupol; imporre l’annessione della Crimea ed il riconoscimento delle due repubbliche separatiste. Nel frattempo però, lascerebbe in pace l’area più occidentale dell’Ucraina. Ma questa è una mossa che Putin potrà muovere, solo se, nel breve periodo, le sue truppe riescono ad ottenere i risultati auspicati sul campo. Risultati che non sono per nulla scontati come si credeva all’inizio".