Il marito che stringe al collo la moglie, dopo averla spinta verso il muro, deve rispondere di tentato omicidio e non soltanto di maltrattamenti o lesioni. Non importa l'assenza di ferite derivanti dal gesto. Con queste motivazioni la Corte di Cassazione ha respinto gli argomenti della difesa e confermato la condanna a dieci anni per un uomo che, pur avendo ammesso di avere usato violenza sulla donna, aveva impugnato la sentenza di secondo grado, tentando di dimostrare di non avere mai provato ad ucciderla. Per i giudici, infatti, contano i "potenziali effetti dell'azione".

La difesa dell'imputato aveva fatto leva tutto sul fatto che l'uomo avesse usato la mano sinistra pur essendo destrorso e che la donna non presentasse ferite. Ma per la Corte "La scarsa entità (o anche l'inesistenza) delle lesioni provocate alla persona offesa non sono circostanze idonee ad escludere di per sé l'intenzione omicida, in quanto possono essere rapportabili anche a fattori indipendenti dalla volontà dell'agente, come un imprevisto movimento della vittima, un errato calcolo della distanza o una mira non precisa, ovvero, come nella specie, all'intervento di un terzo".

Con queste argomentazioni i giudici della Corte d'Appello avevano motivato la sentenza di secondo. Motivazioni ritenute dalla Cassazione "assolutamente adeguate e congrue, tali che le censure difensive non riescono a disarticolare".

I giudici di secondo grado, inoltre, sulla base di una perizia medica avevano concluso che "il collo è sede di organi vitali e che la loro compromissione può determinare gravi conseguenze, che da un iniziale venir meno della coscienza - come avvenuto nella specie - possono condurre alla morte".

Per i colleghi della Cassazione, la Corte d'Appello ha spiegato "in modo ineccepibile" come i potenziali effetti dell'azione rendano "irrilevante che la persona offesa non presentasse i sintomi indicati dal consulente della difesa (disfonia, disfagia, scialorrea o dispnea)".