La Corte d'Appello di Firenze, presieduta dal giudice Angela Annese, ribaltando il primo grado del Tribunale di Arezzo, ha assolto, "perchè il fatto non sussiste", Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, i due 29enni di Castiglion Fibocchi (Arezzo) imputati per la morte di Martina Rossi, (nella foto), la 20enne genovese precipitata dal terrazzo di una camera di albergo a Palma di Maiorca, in Spagna, il 3 agosto 2011.

Così riporta il quotidiano on line La Stampa con la notizia dell’esito del primo grado, il 14 dicembre 2018, dove Albertoni e Vanneschi erano stati condannati dal Tribunale aretino a 6 anni di reclusione per tentata violenza sessuale e per aver causato la morte della giovane in conseguenza di un altro delitto: quest'ultimo reato si è poi estinto per intervenuta prescrizione. Secondo il sostituto procuratore generale Luciana Singlitico, che aveva chiesto la condanna a 3 anni ciascuno per i due giovani per tentata violenza sessuale di gruppo, Martina sarebbe caduta dal terrazzo nel tentativo di sfuggire a una violenza sessuale.

I difensori avevano chiesto nuova istruttoria e assoluzione
La prima presidente di sezione della Corte d'Appello, Angela Annese, per evitare che anche il secondo reato di cui erano accusati gli imputati cadesse in prescrizione, che dovrebbe scattare a fine anno, aveva anticipato al 10 febbraio scorso l'udienza, che era prevista inizialmente per il settembre prossimo. Nell'udienza del 17 febbraio ii difensori di Albertoni (avvocato Tiberio Baroni) e Vanneschi (avvocato Stefano Buricchi): i due 28enni di Castiglion Fibocchi (Arezzo) avevano chiesto alla Corte di riaprire l'istruttoria e assolvere gli imputati. Nell'udienza di oggi i giudici – si legge sempre su La Stampa - hanno respinto la richiesta di riaprire il dibattimento processuale andando subito a sentenza, che ha comportato l'assoluzione degli accusati. Sempre il 17 febbraio Albertoni e Vanneschi avevano rilasciato dichiarazioni spontanee per ribadire la loro innocenza. Albertoni sostenne in quell'occasione che la ventenne genovese si sarebbe buttata dal balcone perchè in stato confusionale dovuto all'assunzione di droga. "Avevamo fumato una canna" e "Martina non sapeva dove si trovasse né cosa stesse facendo", disse l'imputato. 

«Non c'è più niente, Martina non c'è più e anche la giustizia non c'è più», ha detto in preda a commozione mista a rabbia Bruno Rossi. «La giustizia italiana ora si è interrotta sul lavoro fatto in precedenza dalla Procura di Arezzo. Sono arrabbiato per assoluzione perché il fatto non sussiste. Questa sentenza vuol dire infangare l'onore di Martina, vuol dire sostenere che è volata giù da sola». «Cosa farò ora? Terrà stretta mia mogli», ha detto il padre della ventenne rispondendo alle domande dei giornalisti. I genitori di Martina, Bruno Rossi e Franca Murialdo, assistiti dagli avvocati Luca Fanfani e Stefano Savi, hanno sempre seguito le udienze dei due processi. Marito e moglie hanno assistito oggi alla lettura della sentenza in Corte d'Apello tenendosi per mano. Subito dopo la mamma è uscita dall'aula. 

La ricostruzione dell'accusa basata sulle indagini della Procura di Arezzo

Nel giudizio di primo grado, il 14 dicembre del 2018, i giudici del Tribunale di Arezzo avevano inflitto ai due imputati una condanna a 6 anni di carcere riconoscendoli colpevoli di morte come conseguenza di altro reato e tentata violenza di gruppo, e stabilendo quindi una pena di 3 anni per ogni reato. Secondo la ricostruzione della Procura al processo di Arezzo, al ritorno dalla notte in discoteca, Martina Rossi sarebbe salita in camera dei due giovani di Castiglion Fibocchi perchè nella sua stanza le amiche erano in compagnia degli altri due ragazzi della comitiva di aretini e avevano formato due coppie. Secondo l'accusa, la giovane sarebbe stata oggetto di un tentativo di stupro, come proverebbe il fatto che i pantaloncini le erano stati sfilati e non furono mai ritrovati, e come proverebbero i graffi al collo di Albertoni. Poi, sempre secondo il pm e i legali della famiglia Rossi, Martina avrebbe tentato una fuga disperata: vide il muretto sul balcone che separava la stanza dei due giovani da un'altra e lo considerò la via di fuga ideale, ma in preda alla paura successiva all'aggressione e tradita dalla scarsa vista, poiché era miope e non aveva gli occhiali in quel momento, perse l'equilibrio e cadde nel vuoto, quasi sulla verticale del muretto stesso. Il muretto che separava le due camere, un divisorio di circa un metro di altezza e quaranta centimetri di larghezza, secondo i legali della difesa, Stefano Buricchi e Tiberio Baroni, avvocati rispettivamente di Luca Vanneschi e Alessandro Albertoni, sarebbe stata, invece, la prova del suicidio della giovane perché - questa è la tesi sostenuta durante tutto il dibattimento - poteva essere scavalcato con facilità, e se Martina Rossi avesse voluto scappare, avrebbe potuto farlo senza grosse difficoltà.