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Il neurologo Mirko Avesani, come deciso dal Tribunale di Verona, dovrà scontare 9 mesi di reclusione per diffamazione. A riportarlo Il Corriere del Veneto e Il Fatto Quotidiano, i quali informano che nel 2017 il medico si rese protagonista di un post con commenti su Facebook rivolti alla criminologa Roberta Bruzzone, all’epoca opinionista a “Ballando con le stelle”.
“Che poi cosa ha fatto la criminologa per uscire dalla mediocrità oltre a farsi botulinare il viso da p… che ha? Cosa c… fa di così rilevante”, aveva scritto Avesani che finì poi a processo poiché accusato di diffamazione aggravata, dopo la denuncia presentata dalla criminologa. “Sono post gravemente diffamatori, beceri e sessisti ai miei danni”, aveva detto in aula Roberta Bruzzone.
Avesani aveva a sua volta sporto denuncia nei confronti della criminologa, poi archiviata dal gip per calunnia. Oggi la Bruzzone, difesa dall'avvocata Serena Gasperini, ha vinto la causa e il neurologo dovrà scontare la sua pena in carcere.
“Sono contento di questa sentenza, in primis perché Roberta Bruzzone è una valida professionista e amica e non merita di essere offesa solo per invidia della sua popolarità e per il gusto di offendere - afferma l'avvocato penalista Gianfranco Piscitelli - Poi perché è giusto che si capisca che i social non possono e non devono essere il mezzo per dar libero sfogo alle proprie intolleranze e frustrazioni verso chiunque e verso chi scegliamo come bersaglio o avversario per mille soggettive ragioni comunque censurabili”.
“Sappiano questi ‘esseracci’ frustrati che, per fortuna, la legge vigente in Italia prevede tra i reati informatici l’articolo 595 del codice penale nel quale si integra il reato di diffamazione a mezzo Facebook – prosegue Piscitelli - Per aversi la diffamazione tramite post su Facebook, e quindi la realizzazione del reato informatico di diffamazione su Facebook deve verificarsi che il contenuto del post consente l’individuazione precisa del destinatario dei contenuti lesivi, anche se non si fa espressamente il suo nome; che la comunicazione dei contenuti lesivi arriva a più persone e la sua diffusione è incontrollata; che il contenuto è tale da far percepire la volontà di utilizzare espressioni idonee a recare offesa all’onore e alla reputazione dell’individuo; che il soggetto a cui l'offesa è diretta è assente al momento del compimento del reato".
"Quindi ben venga la sentenza che vede Roberta Bruzzone vittoriosa - conclude Piscitelli - che sia di monito agli sprovveduti diffamatori, calunniatori, haters".