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Il 35% delle città capoluogo di provincia italiane ha sforato nel 2022 il limite temporale entro cui dovrebbero essere saldati i debiti commerciali. Ancora molte quindi le amministrazioni pubbliche che sono lontane dall’adeguarsi a quanto disposto dalla norma di riferimento, il decreto legislativo 231 dell’ormai lontano 2002, che prevede che i debiti commerciali debbano essere saldati entro 30 giorni dalla data di ricezione della fattura o richiesta di pagamento. In casi particolari possono essere siglati specifici accordi che estendono questo limite fino a 60 giorni. E' quanto emerge da una ricerca del Centro Studi Enti Locali (Csel) elaborata per l'Adnkronos.
Tra i soggetti che stanno da tempo facendo forti pressioni affinché i tempi dei pagamenti delle amministrazioni pubbliche vengano contratti, c’è anche la Commissione europea che su questo ha avviato una procedura di infrazione inviando lettere di costituzione in mora alla Grecia e all’Italia per la non corretta attuazione della direttiva sui ritardi di pagamento. La Commissione ha evidenziato come le lungaggini abbiano “effetti negativi sulle imprese in quanto ne riducono la liquidità, ne impediscono la crescita, ostacolano la loro resilienza e potenzialmente vanificano i loro sforzi per diventare più ecologiche e più digitali”. Tuttavia, i dati raccolti da Centro Studi Enti Locali, nell’ambito di una ricognizione che ha avuto per oggetto gli indici di tempestività dei pagamenti (Itp) 2021 e 2022 pubblicati sui siti istituzionali delle città capoluogo di provincia, suggeriscono che l’obiettivo – soprattutto in certe aree del paese – è ancora lontano dall’essere centrato.
La specifica sui distinguo territoriali è doverosa perché, se è vero che globalmente, il 62% di questi comuni sono risultati essere in linea con il dettato normativo, l’analisi che riguarda la distribuzione geografica degli stessi evidenzia una marcata differenza di velocità tra alcune regioni ed altre. Nello specifico, ciò che salta all’occhio è che il Meridione l’unica area geografica in cui il numero di enti “ritardatari” supera quelli virtuosi, che stanno nel limite dei 30 giorni. Al sud e nelle isole il 67% dei comuni capoluogo di provincia ha pagato mediamente i propri debiti commerciali in più di 30 giorni lo scorso anno. Il 26% è stato nei tempi, mentre il restante 7% non ha ancora pubblicato l’indice di tempestività di pagamento. Tra le città del nord, soltanto l’11% ha sforato il tetto massimo per il pagamento dei debiti commerciali, mentre il restante 89% è invece risultato essere virtuoso. Al centro, infine, il 62% ha saldato i propri debiti entro un mese, il 35% ha sforato e il 3% non ha ancora provveduto a pubblicare il dato complessivo 2022.
Ma quali sono le regioni con la situazione complessivamente più critica? I casi limite, in negativo, sono rappresentati dalle regioni Calabria, Campania, Molise e Umbria che hanno il 100% di comuni capoluogo di provincia con tempi medi di pagamento dei debiti commerciali superiori al limite massimo consentito. All’estremo opposto, col 100% di capoluoghi di provincia virtuosi, troviamo: Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Marche, Toscana, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta e Veneto. In mezzo l’Abruzzo, che ha 3 capoluoghi di provincia su 3 ritardatari e solo Pescara che invece riporta un indice di tempestività di pagamenti pari a meno 5,92 giorni e che quindi ha saldato i propri debiti mediamente a distanza di 24 giorni dalla ricezione della fattura. La situazione più critica è quella di Chieti che ha avuto mediamente ritardi di oltre due mesi. La Basilicata è risultata essere spaccata a metà. Bene Matera, con un indice di tempestività di pagamenti pari a -4,32 giorni, male invece Potenza che ha pagato le fatture con circa 38 giorni di ritardo.
Unica provincia virtuosa laziale è Latina che ha saldato i propri debiti commerciali mediamente a 24 giorni di distanza dalla ricezione delle fatture. Fuori dal tetto invece Viterbo (media di 46 giorni) e Frosinone (40 giorni). Sul filo del rasoio la capitale, che chiude con un indice di tempestività dei pagamenti pari a 0,66 quindi ha sforato di meno di un giorno la media di 30 giorni. Non conoscibile il dato di Rieti che non ha ottemperato all’obbligo di pubblicazione dell’indice di tempestività dei pagamenti 2022. In Liguria l’unico capoluogo di provincia risultata fuori dal tetto di un mese, per circa una settimana (Itp 37,33) è Imperia. Bene invece Genova (Itp -14,43), La Spezia (-7,02) e Savona (-17,42). In Lombardia, i due comuni capoluogo che hanno sforato i tempi sono Brescia (+10,56) e Cremona (+22,12). Bene le restanti 10 città, in particolar modo Mantova che ha avuto tempi di pagamento medi di circa 2 settimane dalla ricezione delle fatture.
Per quanto riguarda il Piemonte, i due comuni ritardatari sul fronte pagamenti sono stati Alessandria (quasi 47 giorni di ritardo) e Asti, con 4 giorni di ritardo rispetto ai 30 consentiti. Bene, invece, Biella (Itp -7), Cuneo (Itp -14,67), Torino ((Itp -12,9), Verbania (Itp -9,66) e Vercelli (Itp -18,3). Non è stato pubblicato il dato di Novara.
Globalmente critica la situazione pugliese con un’unica città virtuosa, Bari (Itp -12,8) e tutte le altre fuori dai termini legislativi. In particolare, la situazione più complicata è quella di Andria, dove i pagamenti sono avvenuti mediamente a distanza di 129 giorni dalla richiesta e Lecce (Itp 73,02). Non è stato pubblicato l’indicatore 2022 del comune di Brindisi. In Sardegna sono promossi i comuni di Cagliari (Itp -8,96), Carbonia Iglesias (-2), Sanluri (-7), Nuoro (-4,75), Olbia (-3,85) e Sassari (-8). Bocciati invece Villacidro, che ha pagato i propri creditori con più di due mesi di ritardo e Oristano (Itp +13,13).