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I beni di lusso che, secondo le accuse, avrebbe acquistato con i soldi inviatigli dalla Segreteria di Stato vaticana sembrano ormai solo un ricordo. Tanto che Cecilia Marogna, la manager cagliaritana imputata nel processo che riprenderà il prossimo 25 gennaio in Vaticano sulla gestione dei fondi della Santa Sede, è stata sottoposta a sfratto coatto finendo, insieme alla figlia, letteralmente sul lastrico.
E chi le è vicino lancia un appello, rivolto anche alla carità della Chiesa, perché le si trovi urgentemente una sistemazione. "Dove è finita la carità cristiana? Mi rivolgo alle autorità ecclesiastiche in primis e non solo, alle autorità civili tutte... una madre ed una bambina cui 'hanno fatto terra bruciata' saranno in mezzo ad una strada da oggi ma mi batterò ad oltranza contro questa ennesima, disumana situazione", scrive su Facebook Riccardo Sindoca, supervisore del team legale che difende Cecilia Marogna e di lei anche procuratore in atti.
La donna è stata sfrattata per morosità, dal momento che, a quanto si è appreso, non pagava da diverso tempo il canone di locazione, probabilmente proprio a seguito dell'inchiesta che l'ha coinvolta insieme al cardinale Angelo Becciu, ex sostituto della Segreteria di Stato vaticana. Questa mattina intorno alle 10.00 l'ufficiale giudiziario, accompagnato dagli agenti della squadra volante della Questura, si è presentato nell'abitazione della manager, nella centralissima via Rossini a Cagliari, e ha notificato lo sfratto coatto. In casa in quel momento c'era solo la donna: ricevuto il documento, ha lasciato spontaneamente l'abitazione, un appartamento molto grande di proprietà di un docente universitario.
"Stritolata nel contesto di un processo da milioni di euro per speculazioni e business della Segreteria di Stato - la definisce Sindoca -, in cui mai ha avuto alcuna parte... arrestata forse perché si doveva 'decentrare' l'attenzione su altro e così bruciata ed allontanata dal mondo del lavoro in attesa di una definizione giudiziaria?". Secondo il suo procuratore in atti, Cecilia Marogna "di certo non ha mai maneggiato conti della Santa Sede, eppure è lei e la piccina che stanno pagando lo scotto più grosso ed indicibile in questa follia assurda... perché di certo questo 'processo Vaticano' due vittime, di cui una minore, le ha già fatte - prosegue -, nel mentre chi ha maneggiato milioni di euro pensa ad azioni giudiziarie risarcitorie ed a farsi 'magari' sbloccare decine di milioni di euro".
"Intanto una donna di 40 anni si è trovata a passare da una cella di un carcere ad uno sfratto con una figlia minore - conclude Sindoca -, questa è la 'pietà' e la carità Cristiana, tanto reclamata da Papa Francesco... vivo un medioevo del terzo millennio in cui non esistono più pietà e 'regna' la sofferenza data dal menefreghismo e dall'egoismo più spietato". Cecilia Marogna, ribattezzata dai media la "dama del cardinale" per la fiducia che per un certo periodo aveva riposto in lei il cardinale Becciu, è imputata nel processo in corso Oltretevere per due ipotesi di peculato - una delle quali in concorso con lo stesso ex sostituto per gli Affari generali e una tramite la sua ex società slovena Logsic, con sede a Lubiana - per i bonifici per un totale di 575 mila euro accreditatigli dalla Segreteria di Stato per presunte attività di intelligence e trattative per la liberazione di una missionaria rapita, finiti invece in gran parte in costosi beni griffati.