Oggi ricorre il 30° anniversario della strage di Capaci, in cui persero la vita, per mano di “Cosa nostra”, il magistrato Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.

VITO SCHIFANI (Nella foto in alto a destra) Agente della scorta di Giovanni Falcone, venne ucciso a soli 27 anni nella strage di Capaci il 23 maggio 1992. Era al volante della prima delle tre Fiat Croma che accompagnavano il magistrato appena atterrato a Palermo. Nell'esplosione l’agente e i suoi due colleghi Antonio Montinaro e Rocco Dicillo morirono sul colpo e la loro macchina fu sbalzata dal manto stradale in un giardino di olivi a più di dieci metri di distanza. Lasciò la moglie Rosaria Costa, 22 anni e un figlio di appena 4 mesi, oggi Capitano della Guardia di Finanza. Le parole che la signora Rosaria pronunciò ai funerali del marito, di Falcone, della Morvillo e del resto della scorta entrarono nel cuore di ognuno e ancora oggi sono presentate ai ragazzi delle scuole perché resti sempre vivo il ricordo di quella strage vile e assurda. "Io, Rosaria Costa, vedova dell’agente Vito Schifani mio, a nome di tutti coloro che hanno dato la vita per lo Stato, lo Stato… chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso. Rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro, ma certamente non cristiani, sappiate che anche per voi c’è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, se avete il coraggio di cambiare… ma loro non cambiano… […] …loro non vogliono cambiare…".

A Vito Schifani nel 2007 è stato intitolato lo Stadio delle Palme di Palermo, ricordando la sua natura di atleta e di specialista nei 400 metri e lo Stato ha onorato il sacrificio della vittima con il riconoscimento concesso a favore dei suoi familiari dalla legge n. 302/90 e dal Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso di cui alla legge n. 512/99.

ROCCO DICILLO (nella foto in alto a sinistra) Nato il 13 aprile del 1962 a Triggiano in provincia di Bari, è stato un agente scelto di Polizia. Avendo superato il concorso in Polizia, interrompe gli studi universitari e parte per Bolzano, prima sede di servizio. Dall'89 entra a far parte del servizio Scorte. Con altri uomini della scorta il 21 giugno del 1989 aveva sventato il primo attentato alla vita di Giovanni Falcone, scoprendo una borsa di esplosivo lasciata nella spiaggetta della villetta affittata dal magistrato all'Addaura (in Sicilia). Era nella Fiat Croma che precedeva l'autovettura guidata da Falcone e venne investito in pieno dalla deflagrazione seguita all'attentato compiuto ai danni del magistrato; nell'esplosione l'agente morì sul colpo. Ha testimoniato con la vita il rifiuto della illegalità e della violenza a favore della difesa dello Stato. Avrebbe dovuto sposarsi il 20 luglio del 1992. E’ seppellito nel cimitero del suo paese natale, dove gli sono state intitolate una piazza e una via e dove nel giugno di ogni anno gli viene dedicata una Biennale d’arte, con il sottotitolo "cittadini a regola d’arte". Altre vie gli sono state intitolate rispettivamente nei comuni di Bari, Palermo e Noicattaro (BA). Gli è stata dedicata l'Aula Magna dell'I.T.I.S. "Luigi dell'Erba" di Castellana Grotte (BA), da lui frequentato prima di entrare in polizia. Lo Stato ha onorato il sacrificio della vittima con il conferimento della medaglia d’oro al valore civile e con il riconoscimento concesso a favore dei suoi familiari dalla legge n. 302/90 e dal Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso di cui alla legge n. 512/99.

ANTONIO MONTINARO Assistente della Polizia di Stato, era il capo della scorta di Giovanni Falcone. Viaggiava nell’auto guidata da Vito Schifani. Originario di Lecce, figlio di un pescatore, aveva 30 anni quando, il 23 maggio 1992, venne ucciso dall’esplosione sull’autostrada A29 all’altezza dello svincolo per Capaci. Lasciò la moglie Tina, ora una delle promotrici dell'associazione vittime di mafia, e due bambini. Nel suo lavoro Antonio era "professionale" così come gli altri suoi colleghi. Riferendosi alla sua rischiosa mansione di scorta al giudice Falcone commentò: “Chiunque fa questa attività, ha la capacità di scegliere tra la paura e la vigliaccheria. La paura è qualche cosa che tutti abbiamo: chi ha paura sogna, chi ha paura ama, chi ha paura piange. È la vigliaccheria che non si capisce e non deve rientrare nell'ottica umana”. Era, quindi, un uomo cosciente dei rischi che correva ma innamorato dello Stato ed è diventato un esempio del coraggio e dell’abnegazione della Polizia di Stato. In sua memoria il Comune di Calimera ha intitolato una piazza ed eretto un piccolo monumento costituito da un masso estratto dal luogo dell'attentato e da un albero di mandarino di Sicilia. Lo Stato ha onorato il sacrificio della vittima con il conferimento della medaglia d’oro al valore civile e con il riconoscimento concesso a favore dei suoi familiari dalla legge n. 302/90 e dal Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso di cui alla legge n. 512/99.