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Una sentenza quella di ieri pomeriggio che ha urtato la sensibilità di chi tanto ha faticato negli ultimi anni per affermare il principio: No significa No, al di là di tutto.
Nel 2009 due cinquantenni cenano insieme ad una donna. Durante la cena lei beve qualche bicchiere in più e dopo i due l’accompagnano in una camera da letto, ma abusano di lei. Qualche ora più tardi la donna si reca al pronto soccorso e racconta quello che le era successo. Parte la denuncia, ma nel 2011 i due uomini vengono assolti perché la donna era stata considerata non attendibile.
Nel gennaio 2017, la corte di Appello di Torino rivaluta il referto del pronto soccorso che parlava di segni di resistenza, condannando così i due uomini a tre anni di carcere con l’aggravante di avere commesso il fatto con l’uso di sostanze alcoliche.
La difesa aveva presentato però ricorso, sostenendo che i due imputati non avevano reso ad uno stato di inferiorità ed abusato della donna, in quanto la ragazza aveva bevuto volontariamente.
Nella sentenza depositata ieri dalla Cassazione, i giudici hanno sì confermato lo stupro, accusando i due del reato di violenza sessuale di gruppo con abuso delle condizioni di inferiorità psichica o fisica, ma hanno anche scritto che l’assunzione volontaria di alcol esclude la sussistenza dell’aggravante.
Questo perché la norma dice che deve essere il soggetto attivo del reato a somministrare alla vittima della violenza la sostanza, o alcol o droghe o l’uso di armi, che la renderebbero in condizioni di inferiorità.
Quindi la Cassazione pur riconoscendo lo stupro, ha stabilito che se una donna che ha bevuto viene violentata, l’aggravante esiste solo se lo stupratore ha dato personalmente e intenzionalmente l’alcol alla vittima.
La sentenza ha fatto comunque tanto discutere, criticata da politici e da gruppi femministi che vorrebbero valutare ogni caso nello specifico. Soprattutto dopo tutte le lotte contro il femminicidio, la legge contro lo stalking, l’invito alla denuncia sempre e comunque. Anche per paura di ripiombare in un periodo buio, come quando nel 1999 i giudici della corte di Cassazione sentenziavano che se la vittima portava i jeans non si trattava di stupro, o quando nel 2006 riconoscevano al patrigno le attenuanti per la minore gravità del fatto perché la quattordicenne violentata non era più vergine.
Non si vuole che questa sentenza possa rendere la vittima la responsabile di ciò che le è accaduto.