Nella foto del Quirinale: 29 giugno 1985: il neoeletto Presidente Francesco Cossiga saluta la gente di Sardegna

Più volte ministro, due volte Presidente del Consiglio dei ministri (1979 e 1980), Presidente del Senato della Repubblica (1983), a 57 anni Cossiga fu eletto Presidente della Repubblica il 24 giugno 1985, al primo scrutinio, ad opera di un vasto schieramento parlamentare comprensivo delle sinistre (752 voti su 977).

La presidenza Cossiga è sostanzialmente divisa in due fasi distinte.

Assai rigoroso nell'osservanza delle forme dettate dalla Costituzione, Cossiga appare come il classico presidente notaio nei primi cinque anni di mandato, quasi a voler ricondurre l'organo alla sua funzione originaria di garanzia.

La caduta del muro di Berlino segnò l'inizio della seconda fase, avviando un cambio di passo nel modo di interpretare il ruolo presidenziale. Secondo Cossiga la fine della guerra fredda e della contrapposizione di due blocchi aveva determinato un profondo mutamento anche del sistema politico italiano che nasceva da quella contrapposizione ed a quella era funzionale. Di fronte all'immobilismo del sistema politico incapace di rinnovarsi anche al cospetto di una trasformazione epocale come il crollo del muro, sentì la necessità di stimolare la classe politica e cominciarono le cosiddette "esternazioni". Cossiga cambiò stile.

Il Presidente "notaio", che si muoveva con molta discrezione, e che i caricaturisti raffiguravano come un "signor nessuno" che si aggira per il Quirinale, abbandonava la sua riservatezza istituzionale e avviava una fase di conflitto e polemica politica, provocatoria e volutamente eccessiva. In un crescendo di dichiarazioni e denunce, intensificatosi tra il 1991 ed il 1992, con una fortissima esposizione mediatica (è detto appunto il «grande esternatore»), controllava l'attività legislativa del Parlamento e del Governo, denunciava ritardi e anomalie del sistema politico, con lo scopo di dare delle «picconate a questo sistema»: ciò gli valse, negli ultimi due anni di mandato, l'appellativo di «picconatore».

Si ebbero 22 leggi rinviate, di cui 14 tra il 1991 ed il 1992 e un ricorso massiccio a strumenti tendenzialmente interdittivi nei confronti di decreti legge e decreti legislativi da emanare nella forma di DPR.

La frequenza e la portata dei suoi interventi provocarono reazioni irritate da parte del ceto politico e una serie di polemiche anche personali che esposero il Quirinale; a ciò si univa lo scontro con la magistratura (Commissione Paladin riforma CSM), mentre lo scontro con i partiti veniva acuito dal caso Gladio[1], di cui Cossiga si assumeva la responsabilità politica assicurandone la legittimità.

Cossiga si dimise dalla Presidenza della Repubblica il 28 aprile 1992, a due mesi dalla scadenza naturale del mandato, annunciando polemicamente le sue dimissioni con un discorso televisivo che tenne simbolicamente il 25 aprile, anniversario della Liberazione.

https://archivio.quirinale.it/aspr/presidente/francesco-cossiga