Per la storia che andremo a raccontare oggi è necessario fare un passo indietro nel tempo, per l’esattezza fra il IX e il XV secolo. Siamo nell’Europa medievale, nell’epoca dei castelli e delle corti lussureggianti, dei cavalieri e delle dame, dei re e delle regine. La Sardegna a quei tempi era suddivisa in Giudicati, entità statuali indipendenti che, per la loro organizzazione amministrativa, si differenziavano dalla forma feudale vigente nel continente. Si trattava insomma di Stati sovrani, dotati di summa potestas (letteralmente “somma o totalità del potere”) e governati da re chiamati giudici. Erano quattro: Calaris (Cagliari), Arborea, Torres (o Logudoro) e Gallura. Fino all’VIII secolo l’Isola faceva parte dell’Impero bizantino, che, tuttavia, nel giro di pochi decenni venne liquidato dalle offensive arabe. A causa della scarsità di fonti non è mai stata fatta chiarezza sui processi che hanno portato dall’autorità bizantina centrale alla nascita dei quattro Giudicati. Uno dei motivi potrebbe essere associato all’allontanamento dall’influenza di Bisanzio e la crescente necessità di difesa dell'Isola dalla minaccia araba. Il giudice ragnava sul territorio di sua competenza e viveva con la sua famiglia in una reggia, da cui amministrava. L’autorità superiore del Judike (dal sardo) si fondava sul principio di successione, che includeva anche le donne.

E’ in questo contesto storico-culturale che si delinea la figura di Adelasia di Lacon de Thori, conosciuta anche come Adelasia di Torres. Fu Juguissa e giudicessa consorte di Gallura, nonché regina consorte di Sardegna. Nacque nel palazzo giudicale di Ardara intorno al 1207, dal giudice Mariano II di Torres e da Agnese di Massa, figlia del giudice di Cagliari Guglielmo I. A seguito di un accordo fra il padre, alleato dei genovesi, e il giudice di Gallura Lamberto Visconti, che aveva minacciato di invadere i suoi territori forte del potente supporto di Pisa, Adelasia venne data in sposa al figlio di quest’ultimo, Ubaldo. L’allora papa Onorio III tentò vanamente di scongiurare il matrimonio, che avrebbe comportato per la Chiesa di Roma la perdita dell’influenza sul Giudicato di Torres. Ma le nozze furono portate a termine, celebrate nella chiesa della Santissima Trinità di Saccargia nel 1219. Pertanto Ubaldo, alla morte del padre sei anni più tardi, divenne Giudice di Gallura. Dopo la scomparsa di Mariano II nel 1232 prese invece le redini del Giudicato di Torres il figlio Barisone III, fratello di Adelasia. Il trono di questi, ancora undicenne, venne retto dallo zio Ithocorre. Barisone rimase al potere solo tre anni e tre mesi, poiché fu trucidato nel 1236 dai sassaresi in seguito a una sommossa popolare. Il giovane defunto non aveva lasciato eredi diretti e, sempre per volontà del padre Mariano, i nobili logudoresi avrebbero dovuto scegliere fra le sue figlie, Benedetta e, per l’appunto, Adelasia.

 

La scelta ricadde unanimemente su Adelasia, supportata dal marito Ubaldo, eletto anch’egli giudice per governare insieme a lei, poiché ai tempi era inconcepibile che una donna detenesse il potere da sola. Un anno dopo, nel 1237, la giovane giudicessa fece un atto di vassallaggio nei confronti del papato, promettendo a pontefice 4 libbre d’argento all’anno e ricucendo così i rapporti con la Santa Sede. Nel 1238 Ubaldo venne colto improvvisamente da febbri, che ne decretarono la morte all’età di trentun anni. Secondo le volontà di quest’ultimo la Gallura sarebbe stata data in eredità al cugino Giovanni, mentre Pietro II di Arborea sarebbe diventato tutore di Adelasia, che a sua volta sarebbe stata data in sposa a Guelfo dei Porcari, personaggio devoto al papa. Ma la donna rifiutò, a sorpresa, il matrimonio con Guelfo e succedette così al trono del Giudicato di Gallura, complice il fatto che il Giovanni fosse impossibilitato a prendere la carica, occupato a Pisa. Tuttavia la successione era solo formale, infatti Adelasia non aveva avuto figli da Ubaldo e ben presto il cugino sarebbe sbarcato nell’Isola prendendo di diritto il potere, e alla sua morte sarebbe stato succeduto dal primogenito.

Ma Adelasia non restò passiva a guardare e accettò la proposta dei Doria di sposare il ben più giovane Enzo (18 anni), figlio dell’imperatore Federico II. I due divennero re e regina di Sardegna, dando vita appunto al Regno di Sardegna. Non fu un matrimonio felice, e dopo pochi mesi Enzo raccolse la chiamata del padre e lasciò l’Isola, senza farvi più ritorno, per prendere parte a una campagna militare. Questi venne fatto prigioniero dai Guelfi e nel 1246 Adelasia ottenne il divorzio, ma nonostante la separazione il principe continuò fino alla morte a fregiarsi del titolo di re di Torres e di Gallura: emanava decreti, impartiva ordini e direttive e, nel testamento, lasciò i territori sardi ad una figlia naturale. Adelasia trascorse gli ultimi anni della sua vita in solitudine, avvolta da un alone leggendario sulla sua figura di donna potente. Visto il controllo sul palazzo di Ardara e su Sassari dei vicari di Enzo, si ritirò nel castello di Burgos, che divenne il suo rifugio e in cui morì nel 1259 senza lasciare eredi. I suoi beni furono lasciati alla Chiesa e il Giudicato di Torres venne spartito fra Malaspina, Doria e Spinola.

Adelasia di Torres fu una figura di assoluto rilievo nel contesto giudicale sardo, soprattutto in considerazione del fatto che si trattasse di una donna. Nel periodo successivo al divorzio con Enzo riunì la Corona de Logu ad Ardara ed informò i convocati di voler codificare le norme consuetudinarie del reame e riunirle in una Charta de rennu. Il documento, in sostanza, stabiliva: parità dei diritti dell'uomo con la donna, stessa successione ereditaria per maschi e femmine, equa distribuzione delle imposte, tutela delle imprese e del commercio. Il codice fu completato ma, tradotto dal latino in logudorese, dopo il decesso della regina fu divulgato come “Statuto Sassarese”, di ignoto autore. Rivoluzionaria, impavida, ambiziosa: fu una delle prime donne in Europa ad ottenere il titolo di regina, una self made woman che anticipò i tempi, divenuta icona e oggetto di miti e leggende.