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Ad Aritzo, la preside dell'istituto comprensivo avrebbe non gradito che il sacerdote del paese benedicesse il plesso scolastico.
La vicenda è destinata ad rinforzare un dibattito che divide, che mette in contrapposizione vedute di differente natura, che spesso alimenta lo scontro.
È accaduto, negli ultimi tempi, in diverse altre località.
Il tema è delicato, perché da una parte pone l'accento su un'attualità che assottiglia i confini di una tolleranza al centro della diaspora politica e dall'altra mirerebbe a frammentare quei valori di cultura, fede e tradizione che da sempre fanno parte della nostra storia.
Le scuole che ho frequentato avevano crocifissi appesi al muro e non sempre le case che ho abitato sono state benedette.
A prescindere da questo, la fede, che ho perso e ritrovato, ha camminato affiancando le mie idee e le mie convinzioni, senza lasciarsi prevaricare e senza essere causa di una prevaricazione.
Ho rispetto di chi crede in un Dio diverso dal mio e ho rispetto di chi non crede in alcun Dio.
Esigo lo stesso rispetto per il mio credo.
Ad esempio credo in una scuola che anziché preoccuparsi di togliere i simboli dalle pareti o impedire ai preti di benedirle, si preoccupi di impartire i valori che stanno alla base del vivere e del convivere, della tolleranza e dell'accoglienza: in tutti i sensi.
Ad esempio credo in una scuola capace di alimentare uno spirito critico e libero, a prescindere dalle icone che possono anche stimolare una domanda e non necessariamente condizionare una risposta.
E così sia.