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È un'architettura complessa, la riforma degli enti locali della Giunta Pigliaru. Comuni, unioni di Comuni, associazioni di unioni. Ambiti territoriali strategici. Ogni elemento ne sorregge uno più elevato, ed è a sua volta sorretto da un altro ancora.
Ricorda la Sagrada familia di Gaudì, col suo gioco di pesi a cascata. Solo che qui, sotto la cascata, ci sono i Comuni: ed è da dimostrare che riescano a reggere l'intera impalcatura.
I NODI In attesa che la commissione Autonomia del Consiglio esamini il testo (dopo la Finanziaria), gli ingegneri istituzionali dei partiti hanno già individuato i punti di forza e quelli critici. Chi trova fittizio l'addio alle Province, chi plaude al «protagonismo dei Comuni». Ma su questi, specie i piccoli, gravano le incognite. La prima è la gestione associata delle funzioni fondamentali, obbligatoria per i centri con meno di 5mila abitanti (3mila, se montani).
È prevista dal disegno di legge della Giunta, ma non l'ha inventata l'assessore agli Enti locali Cristiano Erriu: la impone la legge nazionale, è un pezzo della spending review. Tra le undici funzioni da condividere obbligatoriamente ci sono trasporti pubblici, polizia municipale, edilizia scolastica, gestioni contabili e dei servizi sociali, urbanistica ed edilizia (quindi gli uffici tecnici), protezione civile e altre.
In Sardegna i Comuni sotto quota 5mila sono 314 su 377, quindi la stragrande maggioranza perderà l'autonomia su questi settori. Non viene imposta nessuna fusione, non spariranno i sindaci: ma è quasi una fusione silenziosa.
IL SISTEMA La gestione avverrà attraverso le unioni dei Comuni, cui ogni municipalità dovrà aderire. Ma è solo il primo livello della piramide: a regime (dopo la fase transitoria in cui, per i paletti costituzionali, rimarranno le quattro Province storiche), le funzioni di area vasta passeranno alle associazioni di unioni.
Per la precisione, nell'idea della Giunta, il posto occupato dalla Provincia sarà di fatto preso dall'Ambito territoriale strategico. Cioè «l'area territoriale corrispondente a una o più unioni di Comuni, convenzionate tra loro, per lo svolgimento delle funzioni già esercitate dalle Province».
IL DIBATTITO «I piccoli Comuni, per scarsità di risorse, non possono sopravvivere senza associarsi», ammette Stefano Tunis (Forza Italia), vicepresidente della commissione Autonomia: «La struttura immaginata da Erriu è quasi un atto dovuto. Il guaio è che si bada alla razionalizzazione amministrativa, ma non alla rappresentanza dei territori».
In pratica, ragiona l'esponente forzista, «nasceranno dei supercomuni senza legittimazione popolare». I cittadini voteranno per il sindaco e il Consiglio comunale del loro paese: ma le scelte importanti avverranno nelle Unioni, guidate da organismi eletti dagli stessi sindaci, non a suffragio universale. «L'altro difetto del disegno di legge - conclude Tunis - è che non comprende la riforma dei consorzi industriali, che gestiscono funzioni cruciali come i rifiuti».
Secondo Roberto Deriu, vicecapogruppo consiliare del Pd, «è vero che ancora non siamo riusciti a sciogliere il nodo costituzionale delle Province, e lo sa anche l'assessore, ma la colpa è dei Riformatori e dei loro referendum».
Quanto al problema dei Comuni, Deriu si interroga sullo status degli amministratori locali: «Sindaci e consiglieri saranno gravati da molti compiti in più, ed è giusto che siano ben attrezzati». Non solo come risorse per gli enti, anche come retribuzioni personali. Il testo di Erriu dispone che gli amministratori delle Unioni e degli altri enti ricevano solo il loro stipendio da sindaco e niente più: «Ma non si può pretendere un'enorme mole di lavoro in più totalmente gratuito. Il sindaco - insiste Deriu, a