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Che dignità hanno nel XXI secolo la lingua e la letteratura sarda? Provincialismo o affermazione di sé stessi? Perché insegnarle? Perché studiarle? Sterile speculazione intellettuale o patrimonio culturale da tutelare? Bachisio Bandinu, che alla questione ha dedicato per decenni pubblicazioni, studi e convegni, sostiene che “la lingua sarda è lingua dell’identità, senza una propria lingua un popolo non esiste, è parlato dalla lingua degli altri e dunque colonizzato anche nell’atto di parola”.
Un serbatoio di suoni antichi come la terra che li ha fatti germogliare, contaminati da idiomi portati dal mare. Il sostrato protosardo che abbraccia il latino, le influenze fenicio-puniche, greco-bizantine, liguri, toscane, catalane, castigliane ed italiane. Del 1997 la legge regionale che riconosce a sa limba pari dignità rispetto all'italiano. Due anni più tardi la tutela garantita dalla legge nazionale sulle minoranze linguistiche. E poi?
All’Università degli studi di Sassari sta maturando quello che potrebbe essere uno snodo fondamentale nell’evoluzione del percorso di valorizzazione della lingua isolana. Dal prossimo anno, infatti, verrà attivato presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche e Sociali il curriculum di Lingue e culture della Sardegna nel corso di laurea magistrale in Lettere, Filologia moderna e Industria culturale. Una notizia accolta con entusiasmo da Dino Manca, nuorese, 55 anni, professore associato dell’ateneo e titolare delle cattedre Filologia della letteratura italiana, Linguistica italiana e Filologia della letteratura sarda. È stato lui a farsi carico di portare avanti un’istanza culturale che avvertiva improrogabile, e che oggi può finalmente concretizzarsi.
“È un’interlocuzione avviata alcuni anni fa – spiega Manca a Sardegna Live -. Avevo proposto l’idea all’allora direttore di Dipartimento, manifestando la necessità di rispondere a un’esigenza che riscontravo nel territorio. Si trattava, a mio parere, di corrispondere all’idea stessa di autonomia universitaria e scolastica: non esiste autonomia se non si fanno i conti col territorio. La nostra è una regione a statuto speciale, con sistema linguistico e culturale specifico e peculiare cha ha prodotto una sua testualità. Ecco, nella nostra offerta formativa non si trovava la proposta organica e sistematica che si sarebbe trovata invece con un curriculum di laurea magistrale. Avevamo dunque bisogno di sanare questo vulnus”.
Sono stati mesi di ricerca, dialogo e confronto. Un fine lavoro diplomatico che ha consentito di dare una progressiva fisionomia al progetto. “Non è stato facile per tantissime ragioni oggettive, strategiche e tecniche. Vi era innanzitutto un problema di ore, di insegnamenti, di risorse umane da garantire. Bisognava passare attraverso una valutazione dell’università per poi approdare al Consiglio universitario nazionale che dà il placet”.
Un piano ambizioso e complesso, che ha incontrato il favore degli organi alla cui attenzione è stato sottoposto. “Saranno contemplate la letteratura e la filologia della Sardegna – spiega il docente –, ma proporremo anche corsi di Antropologia del territorio, Storia della Sardegna, Geografia della Sardegna, Storia della lingua italiana in Sardegna, Storia della musica in Sardegna, e Storia dell’arte sarda. Il corso di Linguistica e dialettologia si terrà probabilmente in parte in lingua sarda. Sarà inclusa nel curriculum anche una lingua straniera e tutti i Cfu necessari per abilitare gli studenti all’insegnamento. C’è grande soddisfazione e grande orgoglio nel presentare l’unico curriculum nell’Isola così organicamente pensato”.
Dino Manca, nel farsi interprete e portavoce di un lavoro certosino e lungimirante, condivide il successo con “i colleghi del mio dipartimento, il Dumas, che hanno sposato l’idea e senza i quali non sarei riuscito a portarla avanti positivamente”.
È singolare notare come la legittimazione della lingua sarda passi prima dall’università che dalla scuola, dove forse sarebbe stato più agevole ma chi da tempo propone corsi dedicati stenta a trovare una formula efficace. “Io ritengo che invece sia la strada più naturale da percorrere – risponde il filologo –. Lo studio della lingua e della cultura sarda lo legittimi solo se le fai diventare istituzionali, e questo accade partendo dall’accademia. È uno dei pochi casi dove la piramide non può essere rovesciata. L’università forma gli insegnanti che vanno nel territorio, i quali una volta acquisite le competenze potranno cercare nella scuola percorsi operativi di applicazione. Certo, questo non basta, è evidente che bisogna pensare a nuova ratio studiorum che sia più adeguata a una regione a statuto speciale. Ma qua è imprescindibile il supporto della politica. Ci vogliono leggi e un impegno istituzionale forte. Non basta più lo spontaneismo e la militanza che hanno pur dato tanto: la cultura va istituzionalizzata seguendo percorsi seri”.
Parliamo di numeri. Qual è il bacino di studenti a cui ambite per il primo anno? “Questa è la grande scommessa. Il corso di laurea magistrale LM-14 di Sassari è tra i più numerosi in Italia (tra i 90 e i 100 iscritti). Nelle classifiche Istat, inoltre, è fra i primi cinque del Paese. Partendo da questi dati, e considerando che sono previsti cinque curricula, direi che se già il primo anno avessimo 10-15 iscritti sarebbe un buon inizio. Ma non si tratta semplicemente di dividerci le quote già presenti. Contiamo di attrarre nuove sensibilità che ci saranno, ne sono convinto, perché c’è questa crescente domanda di Sardegna. Dalle tesi e dagli esami mi accorgo che c’è un’attenzione molto più generalizzata di un tempo rispetto a tutto ciò che ci rende distinguibili nel reticolo planetario”.
Dino Manca, già delegato del rettore per la lingua e la cultura sarda e vicepresidente del Premio Ozieri di lingua e cultura sarda, è oggi il massimo studioso di Grazia Deledda: sue le uniche edizioni critiche dei romanzi deleddiani (Il ritorno del figlio, L’edera, Cosima, Elias Portolu, Annalena Bilsini). Un lavoro che nel 2020 gli è valso il Premio letterario nazionale “Grazia Deledda” presieduto da Alberto Asor Rosa.
Qual è, oggi, l’attenzione riservata alla cultura e alle produzioni letterarie isolane a livello nazionale? “In Italia qualcosa è cambiato. Sebbene alcune riserve esistano ancora, ormai vengo invitato dai licei della penisola per tenere lezioni su piattaforme dedicate a Grazia Deledda con risultati lusinghieri in termini di feedback. C’è stato per lungo tempo un problema di incomprensione rispetto ai grandi nomi della nostra letteratura. Gli autori sardi non rientrano nel canone nazionale perché vengono da un sistema linguistico e letterario che è altro. La Deledda non la si capisce perché non coincide mai con la carta millimetrata del ‘900. Non si riesce a collocarla nelle categorie di verismo e decadentismo. Capire la Deledda e il mondo sardo significa capire i codici interni alla nostra cultura. Altro discorso è che l’unica donna che abbia vinto premio Nobel per la letteratura non entri nei programmi di studio ministeriali, questo lo trovo vergognoso e stucchevole. Ma penso che la novità che stiamo proponendo rappresenti un inizio importante. Le istituzioni si attivino di conseguenza, i risultati verranno”.