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“Il corpo di mio figlio non è il mio corpo, sopprimerlo non è la mia scelta #stopaborto”.
È lo slogan della nuova campagna contro l’aborto di Pro Vita e Famiglia che sta iniziando a circolare anche in Sardegna. In particolare, i manifesti affissi a Dorgali hanno provocato immediate reazioni di indignazione da parte dei cittadini.
Dopo 43 anni dalla legge 22 maggio 1978, n. 194, che ha depenalizzato e disciplinato le modalità di accesso all'aborto, ottenuta dopo anni di battaglie femministi, oggi il dibattito è più vivo che mai.
“Con questi cartelloni si vuole mandare un messaggio chiaro: non esiste il diritto di uccidere una persona umana”, si legge in una nota del gruppo che già aveva promosso la campagna #dallapartedelledonne contro la pillola abortiva Ru486.
“L’aborto è l’uccisione di un bambino – affermano ancora -. Sia pur piccolo, allo stato embrionale, fin dal momento del concepimento c’è un essere umano unico e irripetibile, nel grembo della madre”.
La campagna di Pro Vita e Famiglia è partita il 20 gennaio da Roma.
“Ogni anno vengono praticati in Italia circa 80 mila aborti. Ma l’aborto danneggia le donne. Il danno può essere a livello mentale, emotivo, psichico, ma anche gravemente fisico con infezioni ed emorragie e persino la morte. Il tutto avviene in un quadro dove cresce la percentuale di medici che aderiscono allo strumento dell’obiezione di coscienza, oggetto di ricorrenti attacchi”, si legge ancora nella nota.
In alcuni Comuni della Penisola i sindaci hanno richiesto la rimozione immediata dei manifesti.