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“La pratica autolesionista di inalare gas per stordirsi e alleviare così il suo profondo disagio è stato fatale per un giovane ucraino detenuto nella Casa Circondariale di Cagliari-Uta. Soccorso, è però deceduto in Ospedale dove i suoi organi sono stati donati”.
Lo rende noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, sottolineando “il gesto di solidarietà della madre del ragazzo che, immediatamente interpellata telefonicamente dai Medici, ha autorizzato l’espianto”.
B.B., che avrebbe compiuto 34 anni il prossimo 31 maggio, si è sentito male nella cella che condivideva con un altro detenuto. E’ stato quest’ultimo, durante la notte, ad accorgersi del grave malessere, a soccorrerlo e ad allertare prontamente gli agenti della Polizia, che si sono subito attivati per salvargli la vita. E’ seguito l’immediato intervento dei medici del 118 che sono riusciti a rianimarlo. Il successivo ricovero nel Reparto di Rianimazione dell’ospedale “SS. Trinità” di Cagliari non è però servito a garantirgli la sopravvivenza. Il ragazzo si è spento e la madre non ha esitato ad autorizzare l’espianto degli organi, che sono stati donati. Sulla vicenda è intervenuto anche il Consolato ucraino che ha richiesto una dettagliata relazione su quanto avvenuto.
“La vicenda del giovane ucraino, probabilmente abituale consumatore di gas, induce a riflettere – osserva la presidente di Sdr – su diversi aspetti. Innanzitutto la questione dell’uso dei fornellini per scaldare o cuocere le vivande in cella. Le nuove strutture penitenziarie, come quella di Cagliari-Uta, dovevano essere dotate di prese elettriche per i fornelli ma in realtà quel progetto, che avrebbe eliminato l’uso improprio del gas, non è mai stato realizzato in nessuno degli Istituti di Pena dell’isola”.
“C’è poi la questione della prevenzione dei suicidi che – aggiunge Caligaris – non può essere risolta con un pur utile elenco di possibili candidati da affidare alla sorveglianza speciale a vista. In questo modo infatti si assegna alla Polizia Penitenziaria, che a Cagliari-Uta è in numero insufficiente per garantire il normale svolgimento delle attività di custodia, sicurezza e trattamentali, un ulteriore gravame quando invece è necessaria un progetto integrato con la collaborazione tra le diverse figure professionali”.
“D’altra parte neppure i medici possono sopperire a evidenti carenze organizzative in un Istituto dove il numero dei detenuti, specialmente con disturbi psichici e tossicodipendenze, è in costante aumento. Ciò significa che, in assenza di un intervento mirato, aumenteranno le oggettive difficoltà a trovare un equilibrio tra i diversi operatori, compresi gli Educatori, che con una costante leale collaborazione, possano – conclude Caligaris – promuovere programmi utili davvero a contenere il rischio suicidario. Senza dimenticare che spesso riescono nell’intento autolesionista estremo detenute e detenuti insospettabili”.