Fra il Senegal e la Sardegna passa una vita o forse un soffio di vento. È il tempo di una decisione che serve a cambiare il destino, a scovare una fortuna nascosta, un’esistenza da costruire dall’altra parte del mondo. Kary Khouma oggi lo sa. Ha 22 anni e racconta con orgoglio i trascorsi della sua famiglia che trent’anni fa lasciò l’Africa per inseguire quella vita, quel vento, radicando altrove la propria vicenda. Negli anni ’90 l’Italia era una promessa per tanti che qui hanno costruito una nuova parte della propria storia, contribuendo col proprio lavoro ad arricchire la realtà stessa di un Paese che, ancora, deve ancora fare i conti con sé stesso e il suo rapporto con gli stranieri. Anche questo, Kary, lo sa e lo ha scoperto a sue spese.

La freschezza dei suoi vent’anni le regala un fascino intenso: lo sguardo pulito e penetrante, il portamento raffinato, la sinuosità di una bellezza che deve ancora esprimere il suo meglio. “Sono cresciuta a Olbia, sviluppando fin da giovane la passione per la medicina e il desiderio di aiutare il prossimo. Per questo ho deciso di studiare Scienze infermieristiche all’Università di Sassari”, racconta a Sardegna Live la giovane, oggi tirocinante presso il reparto di Terapia intensiva.

“Nel tempo libero, però, lavoro come modella”, spiega, entusiasta di intraprendere un percorso alternativo e così stimolante. Un’esperienza fatta di sacrifici e non scevra di insidie. “Nell’agosto del 2020 – racconta Kary – mentre realizzavo un servizio fotografico con dei capi di Antonio Marras per una rivista, un amico mi ha chiesto se in quell’occasione potessi indossare l’abito tradizionale di Codrongianos. Un invito che ho accolto con piacere”. La foto di quell’esperimento, pubblicata su Facebook, è divenuta subito virale. Ma ben presto la giovane si è accorta che qualcosa non andava. “Fra le tante interazioni, mi sono resa conto che diversi utenti mi attaccavano con commenti xenofobi, sostenendo che non fossi degna di indossare quei panni. Ci sono rimasta male, ho sofferto. Non era la prima volta che indossavo un abito sardo, perché questa indignazione? Non me ne facevo una ragione”. Quell'episodio ha messo in luce la deriva becera di una società, nel suo complesso, capace di grandi slanci. “Subito dopo sono stata sommersa da messaggi di incoraggiamento. In tantissimi mi hanno scritto esprimendo vicinanza, non sono ancora riuscita a rispondere a tutti. Così, se da una parte non vedevo l’ora che il clamore passasse, dall’altra ero contenta e commossa da quella reazione della gente. Il tutto ha contribuito a farmi crescere, aumentando la mia autostima e la consapevolezza del mio valore”.

La brutta esperienza, paradossalmente, ha rappresentato un’occasione di crescita anche sul piano professionale. “Antonio, la moglie e il figlio Silvio mi hanno sempre suggerito di andare oltre. Di non dar peso alle chiacchiere e inseguire i miei sogni. Nel frattempo, mi hanno coinvolto in altri progetti davvero gratificanti. L’ultimo, il più importante, è andato in scena a Barumini alcune settimane fa. Abbiamo realizzato un servizio straordinario fra le terme di Sardara e il complesso nuragico, un cortometraggio che lo stilista algherese presenterà alla Milano Fashion Week. È stato un momento unico, ho capito quanto lavoro ci sia dietro un’attività come quella. Ho conosciuto tante persone del settore. Sono felice, mi hanno trattato come una figlia”.

“Lo stile di Marras – racconta ancora Kary – è davvero singolare. Dopo quanto accaduto, le sue linee che richiamano le tradizioni sarde hanno reso ancora più significativa questa esperienza per me”.

Cosa hai appreso da quella disavventura? “Mi è servita tanto, perché ho capito come funziona il mondo. Forse fino ad allora avevo vissuto in una bolla di cristallo, fortunatamente non avevo mai ricevuto commenti razzisti. Ora so che purtroppo esiste l’ignoranza, ed è difficile abbatterla. Ma questo mi servirà: mi sento pronta ad affrontare anche progetti più grandi, sapendo a cosa vado incontro esponendomi pubblicamente”.

Gli attacchi subiti hanno fortificato Kary, che oggi ha recuperato la fierezza di mostrarsi per ciò che è. “Alla vecchia me direi di fare tutto quel che desidera senza far caso ai commenti e ai pensieri maligni degli altri, che non hanno valore. Le direi di dare ascolto solo a quello che sente dentro, di non lasciarsi abbattere dai pregiudizi e cercare il conforto nelle persone che la amano”.

Pensi che la società italiana debba crescere sul fronte del razzismo? “Credo nelle nuove generazioni. Purtroppo, le persone più adulte hanno ancora un po’ di difficoltà nell’accettare certe situazioni. Avverto una certa resistenza. Ma vedo che i giovani hanno uno sguardo più aperto e libero. I fatti avvenuti in America nei mesi scorsi hanno contribuito a sensibilizzare rispetto al problema del razzismo, ora lo si sta affrontando più seriamente”.

Qual è il tuo legame col Senegal? “I miei genitori sono arrivati in Sardegna 30 anni fa. Prima mio padre e poi mia madre. Qui hanno avuto quattro figli, mentre altri due erano rimasti in Africa con la nonna. Io e i miei fratelli siamo profondamente legati alle nostre origini. Sono andata in Senegal solo una volta, non è semplice riuscire a organizzarsi. Quando si va lì ci si ferma almeno un mese o due e con i nostri genitori che lavorano, i fratelli che vanno a scuola... Ma ora che sono più grande e indipendente cercherò di andare più spesso perché vorrei realizzare qualcosa di buono anche lì”.

“È una realtà così diversa da quella sarda. La cosa che mi piace di più è l’ospitalità della gente: ti fanno sentire subito parte della famiglia. Lì non esiste l’estraneo. Quando sono andata in Senegal facevamo dieci visite al giorno e nessuno si sorprendeva che arrivassimo, anzi. Ecco, forse l’ospitalità è proprio l’aspetto che lega maggiormente il Senegal e la Sardegna. Anche nell’Isola mi sento parte di molte famiglie, quelle dei miei amici. Non mi sono mai sentita estranea”.

Sei orgogliosa di essere sarda, Kary? “Lo sono. Sì. Mi sento sarda e non solo perché lo raccontano i miei documenti. È un’identità della quale vado fiera, così come di quella senegalese. È un diritto che rivendico perché sono nata e cresciuta qui, qui mi sento a casa e nessuno me lo può negare”.