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«Diversi sindaci anche in Sardegna hanno deciso di voler osservare il dettato e lo spirito della nostra Costituzione e di sospendere l'attuazione del D.L. su sicurezza e immigrazione nelle parti che riguardano l'attività dei Comuni, ai quali la legge affida la responsabilità di gestire l’anagrafe dei cittadini».
Lo si legge nella lettera-appello di Anpi, Arci e Cgil della Sardegna ai primi cittadini isolani in cui sottolineano come «La gravità del Decreto Salvini sta nel fatto che nega i principi di solidarietà e di uguaglianza sanciti dalla Costituzione, che impone di regolare il trattamento degli stranieri residenti in Italia in modo conforme ai trattati internazionali e non differenziato dagli altri cittadini nei diritti personali e nell’accesso ai servizi pubblici universali».
«Infatti, – scrivono Franco Uda, Piero Cossu e Michele Carrus – esso prevede per i migranti l’abolizione della protezione umanitaria, il raddoppio dei tempi di trattenimento nei Centri per il rimpatrio (Cpr), la soppressione dei servizi Sprar affidati ai Comuni - anche espellendo dai centri le persone attualmente in attesa di definizione delle pratiche di soggiorno e di asilo - e sostanzialmente smantella le politiche di integrazione e di accoglienza diffusa che le rendono più sostenibili». «L’articolo 13 – proseguono – stabilisce addirittura il rifiuto dell’iscrizione all’anagrafe al richiedente asilo già in possesso del permesso di soggiorno alla sua scadenza e, cioè, dispone di negargli la residenza, impedendogli di usufruire dei servizi sociali, a cominciare dalle prestazioni socio-sanitarie non fondamentali. Così, migliaia e migliaia di persone, pur presenti legalmente nel nostro Paese, sono giuridicamente discriminate e calpestate per decreto».
«Si tratta – sottolineano Uda, Cossu e Carrus – evidentemente di una norma ingiusta e inumana, che appare finalizzata a creare artificiosamente dei clandestini - la stima dell’Anci è di 130 mila persone, molte donne e minori, risospinte nella dimensione della clandestinità - esponendoli al rischio di dover sopravvivere in condizioni di vagabondaggio, di illegalità, rendendo più difficoltosa la loro identificazione e più facile il loro sfruttamento e anche il possibile loro reclutamento da parte della criminalità».
«Il Decreto – rimarcano – offende la persona del migrante, degrada lo “straniero” a una minaccia, rende il diverso un nemico e fa diventare la discriminazione una regola, rievocando i momenti peggiori e più bui della nostra storia. Ciò deve indurre tutti i democratici a vigilare costantemente contro gli atteggiamenti razzisti di persone che sembrano ispirati al nuovo corso politico del Paese e contro quei comportamenti emulativi che talvolta sfociano in espliciti atti violenti da parte di gruppi organizzati di estremisti politici, di cui si comincia a vedere una eccessiva frequenza».
«La decisione dei Sindaci di non dare attuazione a quelle norme che si pongono in conflitto con i doveri e le prerogative delle Amministrazioni locali appare coraggiosa anche sul terreno istituzionale, perché propugna la difesa del diritto e della nostra civiltà giuridica, sanciti dalla Costituzione e dalla Dichiarazione Universale dei diritti umani: se c’è contrasto fra leggi ordinarie e tra queste e la Costituzione, occorre che venga alla luce con chiarezza, affinché la Corte Costituzionale possa pronunciarsi. L'ANPI, l’ARCI, la CGIL della Sardegna – concludono – si schierano al fianco dei sindaci che hanno deciso di sospendere l'attuazione del D.L. “insicurezza” e chiedono a tutti i sindaci sardi di assumere posizioni che, nel rispetto della Costituzione, tutelino i diritti fondamentali di tutti».