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“I pasti serviti ai ricoverati dei diversi reparti dell’Ospedale oncologico “Businco” di Cagliari, compresi i degenti della camera sterile del settimo piano, sono considerati immangiabili dagli ammalati”.
Lo affermano Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, e Giorgio Vargiu, responsabile regionale dell’Adiconsum, facendosi interpreti del grave disagio che riguarda quotidianamente centinai di persone costrette in molti casi a “chiedere ai familiari di provvedere ai pasti”.
“Prima di lasciare definitivamente l’incarico – sottolineano – sarebbe opportuno che la Direttrice generale valuti l’opportunità di effettuare un accurato controllo e sentire il parere dei ricoverati sulla qualità di quanto viene somministrato ai pazienti che, in caso di degenze lunghe, sono costretti a subire una dieta alimentare non sempre adeguata allo stato di salute tenendo anche conto che il cibo fornito dai familiari non può essere né controllato né sterilizzato”.
“Non si tratta solo del purè di patate semi-liquido o del semolino privo di alcun sapore, ma anche – evidenziano i rappresentanti di Sdr e Adiconsum – di pasta asciutta stracotta e fettine di carne come suole di scarpe. I pasti inoltre spesso arrivano nelle stanze di degenza freddi e molti rinunciano a consumarli. Chi è ricoverato in camera sterile inoltre, dovendo indicare con alcuni giorni di anticipo il pasto, non è nelle condizioni poi di poter eventualmente cambiare il desiderata”.
“Il problema della qualità dei pasti, particolarmente sentito dai ricoverati, è l’ultimo, in ordine di tempo, dei gravi disservizi dell’Ospedale Oncologico “Businco”. Oltre un anno fa infatti alcune associazioni e l’Adiconsum avevano rappresentato le questioni relative all’Oncologia femminile ai Consiglieri regionali della quindicesima legislatura, al presidente del Consiglio regionale, all’assessore della Sanità, alla Direttrice Sanitaria dell’azienda ospedaliera “Brotzu”.
Le firme
Una raccolta di 22 mila firme con una petizione online aveva sancito la gravità della situazione senza tuttavia che si siano potuti registrare interventi risolutori. A rendere ancora più evidente la condizione di disagio di pazienti e familiari è l’assenza del bar, chiuso per ristrutturazione da oltre due anni ma la cui gestione è già stata assegnata. Una mancanza – concludono Caligaris e Vargiu – che fa ritenere lo scarso peso in cui siano tenuti non solo i pazienti e i loro familiari ma anche i dipendenti. Tutti devono accontentarsi, e non è gradevole, di una merendina o una bevanda erogate da una macchinetta senz’anima”.