Il terzo paragrafo del giuramento di Ippocrate recita "[giuro] di curare ogni paziente con scrupolo e impegno, senza discriminazione alcuna, promuovendo l’eliminazione di ogni forma di diseguaglianza nella tutela della salute".

A metterlo in pratica in prima linea, quotidianamente, con spirito di sacrificio (prosecuzione di un decennio - in media - di studi) sono i medici degli ospedali e dei pronto soccorso, di medicina generale e di continuità assistenziale. Medici che, purtroppo, sono sempre di meno e devono lottare con aggressioni verbali e fisiche (minacciate, tentate o, peggio, compiute), carenza di mezzi e risorse, disorganizzazione da parte degli organi centrali.

La Guardia Medica, o servizio continuità assistenziale, è un servizio di medicina generale fornito fuori dai consueti orari di servizio del medico di famiglia (ore notturne e, durante prefestivi e festivi, anche diurne). È destinato a problemi di salute il cui trattamento non può attendere fino al giorno lavorativo successivo, ma non (ancora) così urgente da rendere necessario un pronto soccorso, e mantiene inoltre contatti con i servizi di emergenza e con i reparti di pronto soccorso degli ospedali, infine indirizzano alle farmacie notturne e di turno.

In altre parole, un servizio basilare e fondamentale, che richiede grande impegno e responsabilità e che, sovente, risolve una serie di situazioni senza tutta la trafila richiesta da un pronto soccorso, con soddisfazione per i medici e per i pazienti.

Appare dunque inspiegabile quanto successo alla Guardia Medica di Cagliari, appena trasferita da via Talete a viale Trieste.

Doverosa la specifica che quanto accaduto è la ciliegina di una serie di episodi di totale disorganizzazione: medici costretti a trasportare autonomamente (o pagando a loro spese figure esterne) i loro effetti personali, diversi solleciti - mai ascoltati - alla ASL per avere un colloquio di chiarimento generale con dirigenti e responsabili, ambulatori della Guardia Medica collocati al secondo piano, ma con ascensore malfunzionante, spesso guasto, mancanza di parcheggi riservati, spazi globalmente inadeguati (compresa la presenza di scarafaggi) e pericolosità - tanto per operatori quanto per pazienti - dell'ambiente esterno, tra senzatetto irrequieti, microcriminalità, avventori dei locali spesso su di giri, tra alcolici e stupefacenti.

Dulcis in fundo, ricordando che gli organi superiori hanno responsabilità, morale e legale, di fornire ai medici tutti gli strumenti necessari e di favorire lo svolgimento ottimale di un servizio di primaria importanza per la comunità, si è deciso di non lasciare più ai medici le chiavi dei locali della Guardia Medica, senza ben chiarire chi, come e quando dovesse provvederne all'apertura di sabato, domenica e in assenza del designato portiere.

Risultato: diversi giorni prefestivi e festivi con la porta sempre aperta (e incustodita fino alle 20, quando arrivano le guardie giurate) e, ancora meglio, quanto accaduto sabato 26 aprile: medici e pazienti fuori dalla Guardia Medica per un'abbondante ora.

Dopo una iniziale incredulità si è tentato di capire e contattare chi potesse aprire la porta e, dopo un'ora e passa di interruzione di pubblico servizio, è stata inviata un'addetta di vigilanza (impegnata in servizi differenti dalla Guardia Medica), che ha aperto la porta e permesso lo svolgimento del servizio, tra malumori di medici e pazienti, in preda a esigenze e malesseri - più o meno severi - costretti a stare in piedi o, peggio, a rientrare a casa rassegnati, rinunciando alla continuità assistenziale.