Un uomo contro corrente che, pur essendo ricco, scelse non solo di essere povero, ma di farsi servo dei poveri. Un cavaliere che non volle più fare la guerra e che, da frate, in tempo di crociate, si recò in Terra Santa predicando la pace e la fratellanza.

Ma perché la figura e la storia di San Francesco ci affascinano ancora oggi e risultano tremendamente attuali? Dove potremmo trovarlo ai giorni nostri? Tra i barboni che chiedono l’elemosina nel parcheggio di un supermercato? Tra i facchini africani che spostano pacchi in qualche grande magazzino della logistica?
In scena c’è Ascanio Celestini che racconta e Gianluca Casadei che suona
. Rumba è la terza parte di una trilogia composta anche da Laika (2015) e Pueblo (2017). I due personaggi sono gli stessi in tutti e tre gli spettacoli, vivono in un condominio di qualche periferia e si raccontano quello che gli succede. Nella povera gente del loro quartiere riconoscono facce e destini analoghi a quelli degli ultimi che Francesco ha incontrato otto secoli fa che, oggi come ieri, nessuno vede.
Lo spettacolo -già tutto esaurito in diverse tappe isolane lo scorso anno- è andato in scena il 2 aprile al Teatro Massimo di Cagliari e il 3 aprile all'AMA - Auditorium Multidisciplinare Arzachena.

"Quante sono le stelle nel cielo? Così tante che non si possono contare. Quante sono le stelle nel cielo? Comincia a contarle. Una, due, tre. Arrivi a cento, centocinquanta. Poi perdi il conto. Non si possono contare perché sono tante e stanno tutte sparpagliate. Se tutte le stelle fossero grandi come un granello di sabbia riempiresti non un bicchiere ma un deserto".

Una sorta di mantra per ricordarci quanto finito e limitato sia l'essere umano rispetto al cosmo, e da cui partire per riflettere su tre storie: Giobbe, magazziniere analfabeta ma di grandissimo cuore (che poi, neanche è il suo vero nome, ma un soprannome valsogli -appunto- per la sua pazienza); Joseph, il seppellitore, che parte dall'Africa e giunge in Italia -superando torture e prigionia in Libia e un naufragio-, col desiderio -anzi, illusione- di far vedere a tutti che lui sa come si mangiano gli spaghetti... e la finisce barbone nel parcheggio di un supermercato; e un padre, disperato ma che non perde mai la speranza, alle prese con la malattia neurodegenerativa del suo unico figlio (sfortuano rispetto al coetaneo romeno, ribelle e sfaccendato).

In quasi tre ore di spettacolo, infiniti sono i momenti comici ma anche di riflessioni -ora dolceamare ora piacevoli-: è più santo uno che resuscita i morti o uno che sopravvive alla morte del figlio? Sono meglio i fiori o le stelle (chiese un confratello a San Francesco, che rispose "Tra Terra e Cielo io sceglierò sempre il Cielo!")? Perché il mediterraneo è una fossa comune e non un cimitero? Perché almeno nel cimitero ci sono i nomi, e i nomi dei morti vanno ricordati, perché possano essere seppelliti nel cuore dei vivi.
Cosa ci insegna il Presepe di Greccio, rappresentato per la prima volta nella notte di Natale del 1223, nel paesino in provincia di Rieti (dove Francesco rievocò la nascita di Gesù, organizzando una rappresentazione vivente di quell'evento e, secondo le agiografie, durante la Messa sarebbe apparso nella culla un bambino in carne e ossa, che Francesco prese in braccio. Da qui ebbe origine la tradizione del presepe)? Che non serve fare la fiction televisiva, pomposa, della natività, ma raccontare la vera realtà di come è nato Gesù.

Non serve scannarsi per avere un pezzo di terra, perché Gesù è nato povero in una mangiatoia, che si trovava in Palestina... ma può trovarsi dovunque, anche a Greccio, provincia di Rieti, anche nel parcheggio davanti al supermercato, accanto a un barbone che dorme e una donna "con la testa impicciata"! L'importante è lo spirito con cui lo si accoglie e si vive l'evento.
La riflessione finale, una sorta di paragone tra i valori di ieri e quelli si oggi, è affidata alle parole di Santa Chiara: "Maestro mio, Madre mio, Mio tutto dopo Dio. Il tuo funerale non sembra quello di un povero frate ma quello di mio padre, nobile, di tuo padre, aristocratico.Ti faranno santo e riposerai in una casa di mattoni.Tu, che in vita molto raramente hai alloggiato tra mattoni! Riposerai in una cassa, protetta da una teca, tra i mattoni di una chiesa, sulla cui volta blu hanno dipinto delle stelle... tutte uguali e così poche che si possono contare!".

Nel parcheggio del supermercato, il pullman di pellegrini non arriverà mai. Gli unici due "pellegrini" presenti (se non contiamo il barbone e la signora con la testa impicciata) hanno recitato l'uno per l'altro, in un parcheggio del supermercato.

E dunque, signori miei... questo è il vostro regalo! "Alzate gli occhi al cielo: è pieno di stelle, così tante che non si possono contare. Quante stelle stanno in cielo... così tante che non si possono contare! Quante stelle stanno in cielo, e il prodigio dove sta? Rumba la rumba larumba là!"